Corriere del Mezzogiorno (Campania)
LE SEVERE CLASSIFICHE SULLA VIVIBILITÀ E LA LEZIONE SEMPRE ATTUALE DI SALVEMINI
Come al solito, la graduatoria delle città italiane per la loro vivibilità pubblicata, come ogni anno, lunedì scorso da Il Sole-24 Ore, ha sollevato proteste e reazioni. Protestano, naturalmente, a più alta voce i rappresentanti delle città che si ritengono mal trattate dalla classifica del giornale milanese. Protesta chi ritiene che i criteri di quella graduatoria non siano attendibili o significativi come si pretende. E si fanno a volte scoperte sorprendenti. Si è detto, ad esempio, che chi risiede in un certo luogo non gode delle bellezze naturali e di qualche altra condizione di un buon vivere godute da chi vive in un altro luogo, classificato molto più in giù nella graduatoria. Lo si comprende bene, e le riserve sul metodo della compilazione vanno tenute presenti in ogni giudizio che si voglia dare di quella classifica.
Nel loro merito noi non entriamo, però, qui. Diamo, anzi, per scontato che una loro buona parte sia fondata, e che ad esse se ne possano aggiungere altre. Non riteniamo, però, che sia questo il punto debole della graduatoria milanese. Sta nel fatto che l’insieme degli indicatori utilizzati compone, infatti un insieme di qualità, che ha un senso in sé compiuto.
Poi si potrà allargare il raggio della considerazione, si potranno mettere in campo altri elementi, ma il senso dell’insieme tenuto presente e proposto alla pubblica attenzione dal giornale milanese non muta, e non ne risulta attenuata la validità dell’indicazione complessiva che quell’insieme fornisce.
Il punto forte della graduatoria di cui parliamo è nella circostanza che quest’anno, nella sua ventottesima edizione, essa conferma il dato di fatto emerso fin da principio e accentuatosi, anziché ridursi, nel corso del tempo. Si tratta della netta divisione del paese in due parti, per cui i capoluoghi di provincia del Nord ne occupano la prima parte e quelli del Sud la seconda. Occasionalmente si hanno variazioni, e ogni anno qualche città sale o scende di alcuni posti nella conseguente classifica. La struttura del sistema urbano italiano che ne risulta è, però, stabile. Nel Nord, e spesso in varie parti del Centro la vivibilità urbana è decisamente superiore. Nel Sud è decisamente inferiore. Altrettanto stabile è che, nel Nord come nel Sud, la vivibilità delle città medie e minori appaia maggiore di quella delle città più grandi. Inoltre, salvo qualche rara e discontinua eccezione, i capoluoghi del Nord precedono per lo più, costantemente quelli del Sud, e altrettanto accade per città minori e medie. Infine, le variazioni in meglio che di anno in anno si registrano per questa o quella città del Sud non si stabilizzano, e l’anno seguente o dopo qualche anno le cose tornano al punto di prima. E poiché l’insieme dei fattori considerati ai fini di un tale stabile giudizio è, come abbiamo già detto, un insieme sostanzialmente omogeneo, oltre che importante, le indicazioni che ne conseguono, qualsiasi limitazione se ne voglia fare, sono e restano sempre forti.
Sono, comprensibilmente indicazioni molteplici, e non tutte ugualmente chiare e ampie. Quel che, però, a noi pare evidente è che – nell’ambito del quadro organico e significativo formato dai dati utilizzati dal giornale milanese – affiora una innegabile differenza di efficienza amministrativa. Per la maggior parte le qualità possedute o non possedute che sostanziano quella graduatoria sono qualità che dipendono essenzialmente da una buona e ordinaria amministrazione municipale. Si tratta di parametri che rientrano per lo più nelle competenze, anche elementari, dell’amministrazione locale.
Questa diversità nel presidio delle buone condizioni della vita sul territorio nelle sue innumerevoli variazioni locali non è cosa nuova. Fu una delle prime osservazioni dei primi meridionalisti. Gaetano Salvemini la fissò in pagine indimenticabili, dedicate alla piccola borghesia (e anche, si può aggiungere, non tanto piccola) quale erede storica dei vecchi ceti privilegiati e matrice degli abusi, delle malversazioni, della disamministrazione dei municipi visti e trattati come campo di affermazione sociale e di sfruttamento ai fini della costruzione di fortune politico-sociali e private.
A un secolo e più dalle osservazioni di Salvemini, è lecito ritenere che la sua diagnosi, aggiornata nel suo fondamento sociologico, conservi tutto il su valore. La graduatoria della vivibilità di cui parliamo non è tutto, può essere integrata e migliorata in validità e significazione, è concentrata su una nozione di vivibilità da un lato difficile a precisarsi per bene e dall’altro facilmente criticabile per un verso o per l’altro. È, però, una graduatoria che forma un solido blocco di elementi strettamente attinenti alle materie più proprie dell’amministrazione locale: questo è il punto essenziale, e pone, come ben si comprende, un problema politico e culturale di enorme rilievo e importanza. Il grande pensiero liberale e democratico non ha mai dubitato e ha sempre energicamente riaffermato che il fondamento di ogni sana democrazia e il contesto sociale di ogni autentico processo di sviluppo socioeconomico e culturale si ritrovino in una vita locale di alta qualità civica e operativa. Quando si parla di crisi della politica italiana e di un suo radicale rinnovamento, bisognerebbe ricordarselo per bene e non dimenticarlo mai.