Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«Io, ex profugo siriano oggi lavoro e sono integrato»
Maher un anno fa sbarcò a Salerno con la moglie e i suoi cinque figli
È stata la festa dell’accoglienza, ieri , a casa Al Zaidan, nell’ex convento di San Lorenzo a Salerno: c’erano tutti quelli che, in un fantastico combinato disposto di solidarietà, li hanno accompagnati nel percorso di vita nuova, lontano dalla loro martoriata terra e dai loro calpestati affetti. Volontari di ogni età, rappresentanti di associazioni, assistenti sociali, professionisti, sacerdoti. In una parola sola, «fratelli». Perché così li chiama Maher Al Zaidan, 37 anni, profugo siriano, attribuendo a tutti e a ognuno di loro il merito di averlo fatto sentire di nuovo un essere umano. Il 2 dicembre di un anno fa sbarcava con la sua famiglia a Salerno grazie all’iniziativa dei Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio che fino ad oggi ha portato in salvo in Italia mille profughi siriani.
Nei suoi occhi e in quelli della moglie Abeer, di 33 anni, e dei cinque figli (Terki 15 anni, Ouday tredicenne, Kousay di sette e i gemellini Jumah e Nour di tre anni, le mascotte del gruppo) balenava ancora il terrore per i cinque anni trascorsi in un campo profughi a Tel Abbas, a nord del Libano, in condizioni disumane. Che ne sarebbe stato di loro in terra straniera? Come sarebbero stati accolti? E in quale futuro avrebbero potuto mai sperare dopo aver lasciato sotto i bombardamenti a Homs, la loro città, la casa di proprietà, l’auto e la piccola impresa di costruzioni che garantiva da vivere? Dodici mesi sono stati sufficienti per riconvertire l’iniziale rete umanitaria in qualcosa di più, un reticolato di rapporti d’amicizia così stretti da aver quasi plasmato una specie di famiglia «allargata» di cui gli Al Zaidan rappresentano il fulcro centrale. Ognuno ha dato qualcosa senza chiedere nulla in cambio: chi l’impegno a seguire la pratica per il permesso di soggiorno, chi a raccogliere indumenti usati, chi a seguire i bambini nella difficile opera di integrazione scolastica. «Maher è una persona molto ben voluta, onesta e rispettosa – dice Oreste Pastore, referente locale della Comunità di Sant’Egidio – un uomo di grande dignità, che si è legato a molti di noi».
Da qualche mese ha anche trovato lavoro, un ritorno alle origini, il suo: fa il manovale su due cantieri edili. Guadagna circa 1500 euro al mese. Mentre la moglie ha avviato un’attività di produzione di monili di bigiotteria. «Quando lavoro con questi materiali tra le mani - dice - riesco a far sfumare tutti i miei pensieri tristi».
Hanno un solo problema: la lingua. Nonostante siano da un anno in Italia, entrambi zoppicano ancora un po’ con l’italiano. E quando non capiscono l’interlocutore, sorridono stentatamente. Ragion per cui, la settimana scorsa, si sono iscritti ad un corso di italiano. I figli invece, frequentando la scuola, riescono a fare da traduttori per i genitori. D’altronde fin dall’inizio hanno manifestato una volontà di ferro che li ha aiutati a superare anche qualche diffidenza occidentale: «Pensate che i figli più grandi – ha raccontato Silvana Barbirotti, la volontaria dell’Operazione Colomba che ha preso a cuore la storia di Maher – imparano le pagine di storia a memoria!».
Il fatto che siano musulmani non li esime dal frequentare l’oratorio della chiesa dell’Immacolata dove fanno sport e seguono corsi di musica. «Non è un caso – aggiunge Pastore – che due di loro, il piccolino di 7 anni e il primogenito, abbiano chiesto in dono per il compleanno strumenti musicali: l’uno l’ukulele, l’altro la chitarra».