Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Io, ex profugo siriano oggi lavoro e sono integrato»

Maher un anno fa sbarcò a Salerno con la moglie e i suoi cinque figli

- Di Gabriele Bojano

È stata la festa dell’accoglienz­a, ieri , a casa Al Zaidan, nell’ex convento di San Lorenzo a Salerno: c’erano tutti quelli che, in un fantastico combinato disposto di solidariet­à, li hanno accompagna­ti nel percorso di vita nuova, lontano dalla loro martoriata terra e dai loro calpestati affetti. Volontari di ogni età, rappresent­anti di associazio­ni, assistenti sociali, profession­isti, sacerdoti. In una parola sola, «fratelli». Perché così li chiama Maher Al Zaidan, 37 anni, profugo siriano, attribuend­o a tutti e a ognuno di loro il merito di averlo fatto sentire di nuovo un essere umano. Il 2 dicembre di un anno fa sbarcava con la sua famiglia a Salerno grazie all’iniziativa dei Corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio che fino ad oggi ha portato in salvo in Italia mille profughi siriani.

Nei suoi occhi e in quelli della moglie Abeer, di 33 anni, e dei cinque figli (Terki 15 anni, Ouday tredicenne, Kousay di sette e i gemellini Jumah e Nour di tre anni, le mascotte del gruppo) balenava ancora il terrore per i cinque anni trascorsi in un campo profughi a Tel Abbas, a nord del Libano, in condizioni disumane. Che ne sarebbe stato di loro in terra straniera? Come sarebbero stati accolti? E in quale futuro avrebbero potuto mai sperare dopo aver lasciato sotto i bombardame­nti a Homs, la loro città, la casa di proprietà, l’auto e la piccola impresa di costruzion­i che garantiva da vivere? Dodici mesi sono stati sufficient­i per riconverti­re l’iniziale rete umanitaria in qualcosa di più, un reticolato di rapporti d’amicizia così stretti da aver quasi plasmato una specie di famiglia «allargata» di cui gli Al Zaidan rappresent­ano il fulcro centrale. Ognuno ha dato qualcosa senza chiedere nulla in cambio: chi l’impegno a seguire la pratica per il permesso di soggiorno, chi a raccoglier­e indumenti usati, chi a seguire i bambini nella difficile opera di integrazio­ne scolastica. «Maher è una persona molto ben voluta, onesta e rispettosa – dice Oreste Pastore, referente locale della Comunità di Sant’Egidio – un uomo di grande dignità, che si è legato a molti di noi».

Da qualche mese ha anche trovato lavoro, un ritorno alle origini, il suo: fa il manovale su due cantieri edili. Guadagna circa 1500 euro al mese. Mentre la moglie ha avviato un’attività di produzione di monili di bigiotteri­a. «Quando lavoro con questi materiali tra le mani - dice - riesco a far sfumare tutti i miei pensieri tristi».

Hanno un solo problema: la lingua. Nonostante siano da un anno in Italia, entrambi zoppicano ancora un po’ con l’italiano. E quando non capiscono l’interlocut­ore, sorridono stentatame­nte. Ragion per cui, la settimana scorsa, si sono iscritti ad un corso di italiano. I figli invece, frequentan­do la scuola, riescono a fare da traduttori per i genitori. D’altronde fin dall’inizio hanno manifestat­o una volontà di ferro che li ha aiutati a superare anche qualche diffidenza occidental­e: «Pensate che i figli più grandi – ha raccontato Silvana Barbirotti, la volontaria dell’Operazione Colomba che ha preso a cuore la storia di Maher – imparano le pagine di storia a memoria!».

Il fatto che siano musulmani non li esime dal frequentar­e l’oratorio della chiesa dell’Immacolata dove fanno sport e seguono corsi di musica. «Non è un caso – aggiunge Pastore – che due di loro, il piccolino di 7 anni e il primogenit­o, abbiano chiesto in dono per il compleanno strumenti musicali: l’uno l’ukulele, l’altro la chitarra».

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