Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Viola d’amore
Cara Ester, la mia è una richiesta un po’ particolare, forse singolare nel suo genere. Sono una ragazza di ventotto anni, single da due. Quello del quale voglio parlarti oggi è un amore contrastato. Un amore che mi fa soffrire, ma mi tiene viva e mi riempie di passione. Ester, io faccio l’avvocato. Ho passato tutta la trafila. Praticantato (corse in tribunale, orari folli, rimborso spese misero), poi esame scritto, attesa estenuante, tre mesi di clausura, esame orale. Ce l’ho fatta. I film parlano di un mondo patinato e stimolante, la realtà è una vita fatta di scadenze, carte, documenti. Ma se la verità è questa, perché non riesco a staccarmi, a smettere? Perché, nonostante la p.iva, Cassa forense, ogni difesa da impostare mi ricarica di motivazione? Perché, anche se nella lista dei pro e dei contro la seconda è lunga due volte la prima, mi ostino a voler persistere? Perché non ho la forza di smettere? È possibile che un fattore esterno definisca così prepotentemente l’identità di un essere umano?
Alba
Cara Alba tu dici «lavoro», e tutti ti risponderanno che la vita è altrove. E invece: miracolo. A te piace quello che fai. Il mondo non sa più che più farsene degli innamorati, Alba, siamo già pieni. Sei nata con la formula magica dell’indipendenza. Benedizione eccellente pure negli altri reparti: non ti serve nessuno, quindi ti vorranno tutti. La regola di solito è che tutto quello che si fa per pagarsi l’affitto alla lunga tende a sfinire. Non sono ancora stanco, eccola l’affermazione di superiorità di una persona su quello che le capita: l’entusiasmo. A te va ancora meglio: hai l’entusiasmo robusto. Di solito incenerisce in fretta, è il contrario della pazienza: il tempo non l’affina, lo consuma. È i regalo degli dei, non sentire le sconfitte. Chi ha un sogno da solista sarà sempre contento, cara mia. I sommersi e i salvati credo si distinguano per una domanda: esiste qualcosa che ti fa felice quanto ti fa felice l’amore?Pare che la razza di felicità più pregiata sia quella da dividere tra due. E se non fosse così? Se esistessero quarti d’ora perfetti anche quando stiamo facendo altro? «Dopo un certo punto in poi», in coppia o da soli, «una solitudine vale l’altra», scrive Ennio Flaiano.Tu hai più desideri al posto di uno solo, io questa la chiamo fortuna. E se cominciamo a chiederci «com’è possibile?» pure per il buono, stiamo rispondendo alla domanda sbagliata. Era un vecchio film di Woody Allen, lui come sempre si preoccupava di difendersi quelle briciole di tranquillità tra una seduta dall’analista e l’altra. Diceva così: «Quando qualcosa funziona, non la toccare»
Quando una relazione finisce
Cara Ester, sono G., ho 28 anni, mi sono trasferita da poco a Roma. Faccio l’ingegnere, fino a pochi mesi fa stavo con il mio fidanzato, quello storico conosciuto quando avevo 24 anni. Anche lui è un Ingegnere. Progettavamo di sposarci però forse la vita era troppo tranquilla per me. Credo che sia per questo che poi mi sono innamorata di P. Fa il giornalista, viaggia molto, mi ha subito affascinata. Non lo so perché, ma all’improvviso la mia vita sembrava così piatta. Questa storia è passata come una tempesta, su di me. Se ne è andato senza darmi troppe spiegazioni. Ora ho come l’impressione che non troverò mai nessuno uguale a lui, i giorni mi sembrano tutti identici. Ho cominciato una terapia ma non so se mi stia servendo a molto. Sto soltanto un poco meglio, il dolore non è più straziante
G
Cara G., Riprendersi dalla fine di una relazione coincide col momento in cui ti chiedi: «Ho vinto la guerra o l’ho solo fatta?» e la risposta è la prima. Pare che sia amore solo quando ci capitano persone che danno l’impressione di starci larghe, come vestiti. Fascino di quelli che credi non destinati a te. Più sembrano insostituibili loro, più diventi insignificante tu: il gioco è a somma zero. Insomma, gran bella cosa, quest’amore: è il tuo cervello, solitamente gran servitore, che lavora per farti sentire inadeguato. L’amore vince su tutto, ma che guerra è? Non esci neanche sconfitto, perché è stato sabotaggio. «Tutto comincia quando ci accorgiamo di aver sbagliato ancora una volta», scrive Flaiano. Si pensa sempre che la colpa sia nostra, dev’esserci stato un errore evitabile, da qualche parte. Sarebbe quasi meglio, essere noi i cretini e non la vita infallibile a scontentare. Come dire che ci concedono decisioni. E invece l’amore è una elicità talmente a caso che si dovrebbe solo odiare, ma siccome la vogliono tutti, allora è bella. Lasciarsi. Fosse un colpo secco, sarebbe niente. È invece è della classe dei dolori a lento rilascio. Cosa succede. Ogni pensiero è sempre uno sforzo di memoria e non di ragionamento: è un contrabbando di bei ricordi che tornano, ma come tornano gli avvoltoi. «Lasciarsi» vuol dire mesi di solitudine temperata dal lavoro: il futuro non promette niente, il presente langue, il passato è feroce. Tre inferni. Ti dicono tutti «passa, è cosa da niente», ma la cosa da niente ti senti tu: come svegliarsi tutto un inverno sapendo che hai il piombo cucito nel cappotto. Intanto lui, quello che se n’è andato, resta il protagonista di assurde fantasie di superiorità. Anzi, col tempo migliora. Gli perdoni il perdonabile, lo immagini pure più bello. La distanza è il dio dell’amore: ogni separazione è il secondo tempo di un innamoramento. Stai come stavi all’inizio: solo che quando hai cominciato c’erano i piccoli dubbi felici, ora hai le grandi domande avvilite. Nel migliore dei mondi possibili, chi vuole lasciarti lo farebbe con la frase «stiamo più insieme». Serve vedersi sempre, per dimenticarsi, vai a capire. Per adesso sei affidata all’abitudine, quella cosa che ti fa svegliare di mattina, sufficiente a ricordarti che ti devi alzare ma non ancora a darti troppa voglia di scendere dal letto. La parte più insopportabile la stai vedendo ora: avere la sensibilità sovradimensionata. Sai come va avanti? Come si guarisce? Con la nostalgia. Presto comincerai a sentire sempre più forte una mancanza, la tua. T’accorgerai che non rivuoi nessuno, rivuoi solo la te stessa di prima. Era lei, quella imbattibile. Si rimpiange come si stava: è nostalgia allo specchio, quella dell’amore. E l’unico modo per farsela passare è: fai quello che non avresti voglia di fare. Se muovi la terra intorno, niente mette le radici. Nessun dolore passa da sdraiati. E dimenticare non si fa pensandoci. Soffrire d’amore somiglia a stare male, G., invece è solo una provvisoria malattia della fiducia: è quando non c’è nessuno più portato di te a sentirsi piccolo, dubitare, e avere paura.