Corriere del Mezzogiorno (Campania)
La Corte dei conti indaga su 5 facoltà e 60 docenti
La Finanza in cinque Dipartimenti, s’indaga sui docenti a tempo pieno che svolgono altri lavori
NAPOLI Cinque facoltà e sessanta docenti: l’università Federico II è finita nel mirino della Guardia di Finanza di Napoli e della Corte dei Conti della Campania che stanno indagando su doppi e tripli incarichi dei professori assunti a tempo pieno, i quali hanno lavorato e lavorano senza aver avuto preventivamente l’autorizzazione da parte dell’Ateneo.
L’elenco è lungo, così come l’informativa redatta dopo l’accurato lavoro svolta dalla Prima Area del Nucleo Tutela spesa pubblica della Finanza, depositata sulla scrivania del pubblico ministero della procura contabile Ferruccio Capalbo. I militari, coordinati dal colonnello Pirrera e dal comandante del Nucleo Giovanni Salerno, hanno setacciato gli uffici dei dipartimenti di Giurisprudenza, Ingegneria, Medicina, Architettura e Scienze Politiche alla ricerca degli elenchi dei docenti che sono assunti a tempo indeterminato, iscritti nello speciale albo professionale del ministero dell’Istruzione, con la clausola «del lavoro svolto in esclusiva» e con una maggiore indennità in busta paga. Questa lista è stata confrontata con i nomi dei docenti che svolgono incarichi professionali, per così dire, privati, anche questi a tempo pieno: avvocati, consulenti ministeriali o di Tribunale e Procura. Ma anche ingegneri che lavorano per agenzie di pratiche automobilistiche, per i cantieri sparsi in tutta Italia. Ancora architetti impegnati in lavori di ristrutturazione e soprattutto medici, di ogni rango e specializzazione che hanno studi privati quasi del tutto «nascosti». Dai duecento professori inizialmente finiti sotto la lente d’ingrandimento, si è scesi a sessanta: sono loro che non avrebbero, ad un primo riscontro, alcun titolo per poter lavorare da privati facendolo contemporaneamente alle attività di docenti universitari assunti a tempo pieno. È l’articolo 53 del decreto legislativo del 30 marzo del 2001, poi parzialmente modificato con la Legge Gelmini del 30 dicembre del 2010, a stabilire per il prof il divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo «tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione», che deve essere sempre rilasciata dall’amministrazione di appartenenza, quindi dalla Federico II.
Questo vuol dire che è fatto assoluto divieto per ogni professore universitario a tempo pieno di svolgere l’attività libero-professionale in assoluto, se questa è svolta con continuità, e la necessità, invece, di avere l’autorizzazione dell’Ateneo, se invece è svolta occasionalmente. Quest’obbligo di comunicazione spetta non solo al docente, ma anche all’ente pubblico o privato e alla società che «assume» il professore. Nel mirino dei pubblici ministeri contabili e della Guardia di Finanza ci sono sopratutto le attività di consulenza, intese come risoluzione di problematiche concrete, che «non vanno intese come qualcosa di diverso dalla collaborazione scientifica, di cui conserva la stessa natura e caratteristiche». Quindi anche i «consigli professionali remunerati», che decine di professori rilasciano anche ad enti pubblici, vanno autorizzati. Se accertato, sarebbe un danno enorme per la Federico II e quindi per le casse dello Stato. Innanzitutto perché i professori ricevono una indennità speciale proprio per la propria attività di docenti svolta in maniera esclusiva con una maggiorazione economica consistente in busta paga, e poi perché il professore con il doppio incarico, se non autorizzato e quindi «fuorilegge», dovrebbe versare il compenso ricevuto all’università.
L’accusa Non hanno titolo per lavorare da privati facendolo assieme alle attività in ateneo