Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Come in un quadro Caravaggio di
Le ombre e le luci. Le pietre di allora e i volti di oggi. L’anima eterna e il corpo vivo di Napoli. Con un racconto suggestivamente seicentesco di Francesco de Core da accompagnare, quali altre immagini della città avrebbe potuto proporre un fotoreporter come Sergio Siano? E viceversa, avendo davanti le foto di Siano, cosa di meglio avrebbe potuto creare un giornalista-scrittore come de Core?
In questo senso, Con gli occhi di Caravaggio, il libro di foto e testi appena pubblicato da Intra Moenia, è quasi un prodotto “naturale”: la fatale fusione del lavoro di due colleghi de Il Mattino impegnati sullo stesso fronte narrativo. Il libro, però, è anche un raffinato prodotto “culturale”, perché Siano fotografa avendo bene in mente i quadri di Caravaggio, in particolare «Le sette opere di Misericordia», come spiega in una nota in appendice. E de Core sa che nessuno più di Caravaggio si presta all’invenzione letteraria, all’uso dell’anacronismo come strumento per sfidare il tempo. Così, mentre il fotografo percorre i vicoli di oggi a caccia di storie e prospettive insolite, e con gli occhi del Merisi ci fa vedere cieli strappati, vicoli gonfi di vita, pance in piena e spaccati di languida carnalità, il giornalista-scrittore si cala nei panni dell’artista e ci consegna un inedito diario napoletano; un diario tra il documentato e l’inventato in cui ci sono la lite al Cerriglio e un mancato incontro con fra’ Tommaso Campanella; le visite negli ospedali in cerca di soggetti da riprodurre sulla tela e le convulse trattative con i ricchi committenti. De Core, tra l’altro, si avvale per questo, e lo racconta nella prefazione, di una preziosa esperienza precedente, un lavoro di ricerca nell’archivio storico del Banco di Napoli, «tra carte sottili come sfoglia e faldoni con i dorsi sfrangiati».
Il primo a inventare un personaggio-Caravaggio, prima ancora di tanti sceneggiatori e registi, fu, negli anni Cinquanta, proprio chi riscoprì il Caravaggio-artista, il critico Roberto Longhi. Il quale mise da una parte il già famoso Tiepolo, nato nel 1696, e dall’altro il meno celebrato Caravaggio, morto nel 1610. Nel dialogo così immaginato, Caravaggio si lamenta appunto della sua scarsa fama. «Ma se ti hanno chiamato il Rembrante della Italia», gli dice accomodante Tiepolo. E l’altro, indispettito: «Ma quello (Rembrandt) venne dopo di me, non era più semplice