Corriere del Mezzogiorno (Campania)
«CasaCorriere» nel seggio del popolo che seguì Masaniello nella sua rivolta
Giovedì 14 al Chiostro di Sant’Agostino alla Zecca
Un chiostro è per eccellenza un luogo chiuso: può essere frequentato solo da religiosi. Quello di Sant’Agostino alla Zecca — che riapre giovedì eccezionalmente per CasaCorriere — nasconde invece una straordinaria storia che rende partecipe l’intero popolo di Napoli.
La sua fondazione si perde nella storia della chiesa di Sant’Agostino alla Zecca voluta dagli Angioini, quando la sala capitolare attigua al chiostro, era certamente destinata alle riunioni dei frati.
Nei lunghi secoli religiosi, il convento di Sant’Agostino alla Zecca vede diversi ammodernamenti: probabilmente l’eclettico Bartolomeo Picchiatti e il figlio, sul finire del 1600, si occupano del chiostro maggiore, l’unico sopravvissuto e di immenso valore storico nella forma che oggi ammiriamo di slanciate colonne tonde, così rare a Napoli, che sorreggono archi a setti alternati di piperno e marmo.
Nel 1647 Masaniello è protagonista della rivolta napoletana, e nel chiostro maggiore e nella sala capitolare, si riunisce ormai dal 1495 il Seggio del Popolo: per volere del re Carlo VIII, venne restituito proprio in Sant’Agostino, il diritto di esistere al popolo con la nomina del suo Eletto.
Ed è qui, tra sala e chiostro maggiore, che nei tormentati mesi di Masaniello si tiene il suo processo, e prima ancora, i rumori, gli umori e le azioni della popolazione si formano dentro questi luoghi. Passa ancora un secolo e mezzo in cui il chiostro vive sospeso tra il silenzio dei frati e la politica rumorosa del Seggio, quando nel 1800, gli Agostiniani vendono le strutture alle suore di San Francesco de Paola, dette «suore cappellone», per via dell’ingombrante copricapo bianco.
Conserviamo di questo momento una mirabile testimonianza visiva: il chiostro è ancora a cielo aperto, una suora ci passeggia tra una lussureggiante vegetazione, il pozzo, e le belle balaustre barocche sono libere.
Le suore decidono di vendere alla Società del Risanamento: quando nel 1894 verrà aperto il Rettifilo, il chiostro minore su pilastri non esiste più, distrutto dalla nuova strada, ma rimane miracolosamente in piedi il solo chiostro maggiore inglobato in un nuovo elegante palazzo: lo stesso al civico 174, a cui oggi accediamo dopo due rampe di scale, trovandoci improvvisamente sotto un’ardita copertura di ferro e vetro d’inizio secolo.
La Società del Risanamento pur sacrificando parte delle antiche architetture, lascia intatto il chiostro maggiore e la Sala Capitolare, vendendo la proprietà alla famiglia di origine ebraica Ascarelli. Industriali e commercianti di tessuti di grande successo e lungimiranza, Salomone Pacifico Ascarelli e il figlio Giorgio, destinano il chiostro alle loro attività tessili. Giorgio, grande mecenate e sportivo, fonderà nel 1926 la Società Calcio Napoli, donando alla città la prima squadra e il suo primo stadio. Quando le leggi razziali e il clima mutato del tempo, vedranno il fallimento della gloriosa industria tessile della famiglia, il Palazzo Ascarelli sarà venduto e, nel corso degli anni, ospiterà uffici pubblici, università e attività varie cadendo nell’oblio. Fino a quando non è stato rilevato dalla famiglia Avallone negli anni Settanta.
Colonne pagane e rarissimi capitelli svevi, elegantissimi archi e santi, convivono tra rivolte popolari e imprenditoria del calcio: nel Chiostro del Popolo sta sospesa l’anima vera della città.