Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La morte del dribbling: il paradosso del «sarrismo»

- Di Giancristi­ano Desiderio

Manovra Tutto funziona fino alla trequarti poi la geometria finisce e si torna indietro

Il vero avversario del Napoli non è l’Inter, non è la Juventus e nemmeno la Roma. E’ il Napoli. La prova è data dalla stessa squadra di Maurizio Sarri: non gioca male, fa sempre la partita, ha un elevato possesso palla ma - ecco il punto non riesce più a trovare il corridoio giusto per arrivare in porta. La sua virtù è diventato il suo vizio. L’avversario del Napoli è il limite che il gioco di Sarri ha ormai toccato con mano e con i piedi: il possesso della palla non si trasforma più in gol. La geometria da sola non basta: è necessaria ma non sufficient­e per creare calcio.

Ciò che manca è uno squisito elemento calcistico che la geometria allo stesso tempo fa nascere o uccide: il dribbling. La differenza è fatta dal giocatore e - come direbbe Vico - dal suo ingegno. La Fiorentina al San Paolo ha dato l’impression­e di controllar­e la partita lasciando al Napoli il controllo della palla. E’ vero che è stata «la migliore Fiorentina dell’anno», come ha detto l’allenatore Pioli ma è altrettant­o vero che il migliorame­nto nasce dalla conoscenza del gioco di Hamisk e compagni che senza un’invenzione calcistica si compiace sterilment­e di sé e come la Regina Ravenna chiede: «Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?». Va tutto bene fino a quando non salta fuori una fanciulla più fresca e più bella: Biancaneve. Eppure, la favola del Napoli non è ancora finita.

Si tratta di capire come la geometria - il gioco di Guardiola rivisitato da Sarri - non diventi un labirinto ma una creazione a vantaggio del dribbling. E’ questo ormai un dato di fatto che non riguarda solo il Napoli: i calciatori hanno difficoltà a saltare palla al piede l’avversario. Nel Napoli il limite diventa ancora più evidente perché tutta la macchina funziona fino alla trequarti ma lì giunta, quando la geometria cartesiana deve lasciare il campo alla “logica poetica” vichiana, la macchina si inceppa e non riuscendo ad andare oltre se stessa ritorna indietro fino a Koulibaly, Albiol e Reina replicando all’infinito dei novanta minuti. E’ vero che il calcio è fatto anche di episodi e se la palla di Zielinski non fosse finita sul palo ma rotolata in rete ora ci sarebbe un’altra storia da raccontare. Tuttavia, non solo non è giusto ma neanche legittimo giudicare il sarrismo

con un episodio, positivo o negativo che sia. Dopo la sconfitta con la Juventus, Biagio de Giovanni ha detto che il gioco di Sarri si ripete e mostra la corda, mentre Arrigo Sacchi ha messo in luce che la squadra di Allegri non ha giocato.

La posizione del filosofo e l’analisi del teorico sono vere entrambi, quasi come se fossero la tesi e l’antitesi di Hegel che, però, erano e sono vere solo nel terzo momento in cui il gioco non si ripete vanamente e la Juve non vince senza giocare: nel dribbling che non c’è più.

Il sarrismo ha il suo destino nell’invenzione calcistica: non può razionaliz­zarla per ucciderla ma per farla vivere, altrimenti uccide se stesso. Appunto, il Napoli è per il Napoli l’avversario più difficile.

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