Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Muti: «Napoli non è l’emblema della violenza»
A Capodimonte ha presenziato come allestitore al progetto «Carta bianca»
«Girando il mondo combatto contro i luoghi comuni su Napoli». Riccardo Muti, a Capodimonte, con Vittorio Sgarbi e altri intellettuali per la mostra Carta bianca, torna sul tema dell’immagine della città. «Non è vero che la città è solo violenza, altrove si muore molto di più per i crimini».
«Girando il mondo combatto contro i luoghi comuni su Napoli. La pizza riconosciuta dall’Unesco? Va benissimo, ma c’è anche altro. Il mandolino? Un nobile strumento. Ma dimentichiamo troppo spesso che c’è una Napoli colta, dalla storia irripetibile».
Riccardo Muti appare davvero stanco di ritrovarsi sempre travolto, come accade a molti napoletani illustri, dagli stereotipi sulla città. «Non si può veicolare solo l’immagine della delinquenza partenopea, con qualsiasi linguaggio ciò avvenga», prosegue il maestro. «Non possiamo tralasciare il dato che altrove si muore di morte violenta molto di più che qui. Le pubblicità negative oscurano la sostanza vera di una città unica al mondo».
Mentre parla, Muti si guarda intorno e lo scenario in cui si trova gli dà immediatamente ragione: siamo al museo di Capodimonte dove, insieme ad altri nove intellettuali, ha smesso i panni del musicista per vestire quelli del curatore, nell’ambito del progetto «Carta bianca». Ciascuno dei partecipanti invitati dal direttore Sylvain Bellenger ha operato una propria selezione di capolavori del museo, riallestendoli in una sala dal gusto personale e motivando le proprie scelte. L’opera voluta da Riccardo Muti è una sola: la «Crocifissione» di Masaccio, una piccola tavola che affascina da tempo il maestro. Muti ha voluto che fosse esposta al buio, in una stanza «del silenzio», con una poltrona posizionata davanti al quadro, che invita alla contemplazione. «Che colpaccio», commenta invidiosissimo Vittorio Sgarbi, curatore di un’altra sala. «L’avessi pensato io... Stavolta c’è stato qualcuno più intelligente di me, lo odio», ironizza (ma non troppo). «Effettivamente», spiega Muti, «volevo che l’opera scelta fosse un unicum, senza altre tele a disturbare la visione. La figura della Maddalena irrompe nell’immagine, sembra appartenere a un mondo diverso, al mondo dell’amore. Anche il suo mantello rosso fuoco è in contrasto con la figura di Cristo. Ha le braccia aperte come a voler abbracciare il Cristo morente. È stato straordinario poter fare il curatore, ringrazio Bellenger che ho conosciuto a Chicago qualche anno fa e del quale ho apprezzato la competenza e l’amore per Napoli».
Anche Muti nutre una forte passione per la città dove è nato (pur essendo di famiglia pugliese) e dove ha frequentato il liceo Vittorio Emanuele. «Ci sono tornato qualche anno fa e mi ha fatto molta impressione vedere il mio nome, unico vivente, sulla lapide dedicata agli alunni illustri» scherza il maestro. «Napoli ha a pochi metri di distanza il San Carlo, il Museo Nazionale, il Conservatorio, i Girolamini. Si “mangia” qualsiasi altra città. La scuola napoletana di musica ha dominato l’Europa, Napoleone dopo le battaglie ascoltava Paisiello. Perché questo autore è sparito dai teatri italiani? Perché abbiamo permesso tutto questo? Siamo tutti responsabili del decadimento di questa grande cultura, non stiamo facendo abbastanza. Scarlatti precede Bach, ma oggi chi lo conosce?». Allora ben vengano iniziative come «Carta bianca» che consente di vedere Capodimonte con occhi nuovi. Tra gli altri curatori, Marc Fumaroli si concentra su una selezione di opere di arte napoletana del ‘600; l’architetto Paolo Pejrone focalizza il proprio sguardo su paesaggi e vedute; Gianfranco D’Amato, industriale e collezionista, affianca l’arte antica a quella contemporanea (Carlo Alfano, Mimmo Jodice, Marisa Albanese).
E ancora: «La scimmia e l’uomo» è il tema della sala di Laura Bossi Regnier, neurologa e storica della scienza; Giulio Paolini crea in occasione della mostra un’opera ad hoc. La sala di Giuliana Bruno (professore di Visual Studies ad Harvard) ha potuto esplorare i depositi del museo, non accessibili al pubblico; Mariella Pandolfi, professore di Antropologia a Montreal, sceglie l’enorme arazzo della Battaglia di Pavia. Infine Francesco Vezzoli traccia un percorso che comprende suoi interventi scultorei e performativi. Ad aprire il percorso, la sala curata da Sgarbi con opere di Lotto, Parmigianino, Guido Reni. Il critico ferrarese è protagonista di un duetto con il governatore De Luca durante l’inaugurazione. «Sgarbi mi è debitore di due Caravaggio», dice De Luca ricordando le promesse di portare la «Natività» al Madre. Ora che è assessore in Sicilia, assicura Sgarbi, ci riproverà. «Devo pagare il mio debito», ammette. «Faremo uno scambio di Caravaggio». Che sia la volta buona?