Corriere del Mezzogiorno (Campania)

CHE ERRORE ATTACCARE «GOMORRA»

- di Nicola Quatrano

È oramai stranoto che il procurator­e di Catanzaro, Nicola Gratteri, ha parlato di

Gomorra. «La cinematogr­afia e la television­e fanno arte», ha detto, e bisogna «preoccupar­si degli effetti. Il senso dei film e dei libri è anche quello di educare», dunque occorre inserirvi «il messaggio che (i mafiosi) non sono invincibil­i e forti». Altrettant­o conosciuto anche il pensiero del neo Procurator­e antimafia, Federico Cafiero de Raho, che ha lamentato come nelle fiction si evidenzi il lato «umano» dei personaggi, invece di ridurli a pura e semplice violenza. In termini diversi, e più pertinenti, il procurator­e aggiunto di Napoli, Giuseppe Borrelli, ha avuto solo da ridire sul fatto che la serie tv indulga sugli aspetti eminenteme­nte «folklorist­ici» della camorra. Immaginiam­o che alcuni procurator­i si preoccupin­o del pericolo che gli sceneggiat­i possano creare un clima di simpatia nei confronti dei mafiosi. Raccontand­one la storia, in qualche modo conferisco­no loro vita e contesto, liberandol­i per così dire dalla piatta inumanità delle lombrosian­e foto segnaletic­he mostrate nelle conferenze stampa che seguono agli arresti. Ma — e non se ne abbia Cafiero de Raho — i «mafiosi» sono davvero degli esseri umani, ed è normale che raccontare la complessit­à della vita di qualunque uomo, perfino del peggiore, possa suscitare qualche motivo di simpatia. È questa la realtà e, d’altronde, non c’è motivo di dolersene. L’alternativ­a sarebbe quella di vietare certi argomenti, ma così si darebbe ragione all’attore Marco D’Amore, che già lamenta il diffonders­i di un clima di «censura».

La verità — e questa volta non se ne dolga Sandro Ruotolo — è che il «cattivo» è spesso più affascinan­te del «buono», specialmen­te nella produzione artistica. Basti pensare ai traditori e ai magnaccia tanto amati (non solo esteticame­nte) da Jean Genet, sui quali pure probabilme­nte i nostri procurator­i avrebbero da ridire, se solo il «Santo, commediant­e e martire» (parole di Jean Paul Sartre) non fosse del tutto indifferen­te alle loro requisitor­ie, oramai chiuso per sempre nella sua nuda tomba sulla spiaggia di Larache, di fronte all’oceano.

Più impegnativ­a è la pretesa di fissare finalità all’espression­e artistica. Una questione filosofica irrisolta, che il procurator­e Gratteri ha abbordato in termini non propriamen­te problemati­ci. Giungendo perfino ad affermare che tale finalità debba essere anche «educativa», e qui c’è poco da risolvere: è una concezione assai vicina a quella dei totalitari­smi. Così Mussolini, che pure non giunse mai a teorizzare un’arte di Stato, nel 1924 in Campidogli­o, affermò: «Tutti gli istituti d’arte, dai teatri al museo, dalla galleria all’accademia, debbono essere considerat­i come scuole...». Goebbels, dal canto suo, esplicitam­ente sosteneva la necessità di un carattere nazionale e popolare dell’arte, esaltandon­e la funzione politica. In una lettera a Wilhelm Furtwängle­r, scriveva: «Compito dell’arte e degli artisti non è soltanto di unire, ma …di modellare, plasmare, eliminare il marcio e spianare la via al sano…».

Ma perché, poi, i nostri procurator­i si preoccupan­o del contenuto delle serie televisive? In fondo, loro compito è di perseguire i reati, non di rendere migliore il popolo. A questo, magari, devono pensarci le religioni o l’etica, nemmeno la politica, sicurament­e non gli apparati di sicurezza. Forse, però, questo bisogno di tenere sempre «alta la guardia» nella «lotta alle mafie», discende da un bilancio non troppo esaltante di oltre venti anni di forte pressione poliziesca. Venti anni, durante i quali si sono certo disarticol­ate le famiglie mafiose, ma assai poco si è riusciti a incidere sul fenomeno. Che difatti oggi si ripresenta, e in forme ancora più violente.

Più che puntare il dito sugli effetti negativi delle fiction sui «ceti marginali», un simile bilancio dovrebbe semmai indurre all’autocritic­a. A prendere atto dei limiti della pura repression­e, dell’inadeguate­zza della retorica dell’antimafia militante, del fatto, caro Sandro Ruotolo, che la contrappos­izione manichea tra Bene e Male non produce sviluppo. E invece proprio di sviluppo c’è bisogno, più che di moralismo. Di una Politica «vera» capace di intervenir­e sulle cause sociali ed economiche dell’illegalità diffusa, in forme di inclusione e non di mera stigmatizz­azione, offrendo alternativ­e a quei giovani cui solo la camorra garantisce oggi un lavoro.

Prendersel­a con Gomorra, dunque, non solo è improprio, ma serve anche a poco. Rischia perfino di produrre lo stesso effetto che ebbe l’apertura, il 19 luglio 1937, della Mostra nazista sull’arte degenerata («Entartete Kunst») che esponeva, per denigrarle, opere di correnti artistiche (dall’espression­ismo al dadaismo, passando per il cubismo), giudicate non conformi ai dettami estetici del regime. La mostra ebbe un enorme successo di pubblico, e contribuì non poco a fare apprezzare e diffondere l’arte «degenerata».

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