Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Le Vele e il sogno (infranto) della modernità
Dal sogno (infranto) della modernità all’attivismo delle associazioni
Abreve dovrebbero essere abbattute tre Vele a Scampia. Viene da chiedersi come sia stato possibile per la gente abitarvi per tanto tempo. Il grande filosofo polacco Zygmunt Bauman ha scritto che la storia della modernità si può raccontare in diversi modi. Quando si costruirono le Vele fu evidente che la modernità doveva impregnare le periferie di Napoli. Il progetto era ambizioso, frutto della volontà di internazionalizzare la questione: si imitò il Parco di Montreal, eretto in occasione delle Olimpiadi del 1976, come pure i mastodontici palazzi della Costa Azzurra. La decisione di affidare i lavori alla Cassa per il Mezzogiorno rientrava nel cosiddetto «secondo tempo» dell’intervento straordinario del Sud che doveva sostanziarsi, tra l’altro, nel creare condizioni di vivibilità per i ceti popolari.
L’ambizione della modernità svanì presto. Già agli inizi degli anni Ottanta, quando il progetto era stato appena completato, fu evidente che le Vele rappresentavano la nuova frontiera del malessere sociale dell’area partenopea. Associazioni, movimenti giovanili, parrocchie del luogo denunciarono la povertà materiale e culturale dell’area, provando a costruire percorsi di cambiamento, partendo da se stessi. Per molti ragazzi che si impegnarono nel volontariato, alcuni provenienti dalla «Napoli bene», fu la scoperta di persone che vivevano nella totale indigenza: adulti disoccupati, bambini che non andavano a scuola e privi delle cure più essenziali, il dilagare della camorra e la feroce lotta per lo spaccio di droga fra clan avversi, assenza di servizi basilari e di luoghi di incontro, strade molto larghe che rendevano rischioso l’attraversamento, diedero il senso che ci si trovasse di fronte a una vera emergenza. Subito risaltò la separazione dal resto della città, interrompendo la tradizionale promiscuità abitativa che caratterizzava e continua a distinguere ancora oggi Napoli con la coesistenza negli stessi quartieri fra ceti abbienti e meno abbienti.
In breve si aggiunsero nuove povertà: anziani e disabili la cui emarginazione si accentuò a causa della presenza di barriere architettoniche e la mancanza di ordinaria manutenzione, come nel caso degli ascensori. E poi poco distanti gli insediamenti dei rom, gli immigrati alle rotonde. Infine, il carcere. Ma era soprattutto l’anonimato ben raffigurato da queste enormi costruzioni che faceva sentire le persone che vi abitavano smarrite, irrilevanti, prive di radici e di prospettive. Le Vele dimanifestare vennero un caso nazionale: con la visita del presidente della Repubblica Francesco Cossiga si pose quasi trent’anni fa la questione del loro abbattimento. E poi la visita di Giovanni Paolo II, del presidente Ciampi e di papa Francesco. Di particolare significato fu la scelta del cardinale Sepe di recarsi all’atto del suo insediamento a Napoli proprio a Scampia.
Nel parco di Scampia Giovanni Paolo II disse: «Non bisogna arrendersi al male! Mai!». È nell’avere fatto proprio questo appello che tante persone lottano ogni giorno per condizioni più dignitose. Sono segni di speranza. Certo un’associazione, una scuola aperta fino a tardi possono sembrare poco di fronte ai gravi problemi del quartiere. Ma sono i giovani a un forte desiderio di ribellarsi al male. Perché non credere in loro? C’è entusiasmo nei giovani di Scampia, talenti soffocati da facili e pregiudiziali etichette. Hanno discusso a lungo, formulando molte proposte nel corso di un’affollata assemblea all’Itis Galileo Ferraris. Ed è in questo periodo prenatalizio che si riuniscono per allestire pranzi e accogliere chi è più fragile. Allora viene da pensare che malgrado il degrado di questa periferia, che è anche una periferia esistenziale, tutto può cambiare - come direbbe ancora Giovanni Paolo II, magari affacciandosi da quel colonnato di Scampia a lui intitolato, guardando avanti e comunicando a tanti coraggio e fiducia.