Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Il mio Masaniello torna nel seggio del popolo»

- Di Natascia Festa

Masaniello torna «davanti» al tribunale del popolo. Lo fa con la faccia di Mariano Rigillo, ovvero il suo volto teatrale anni Settanta. Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese fu uno spettacolo «epocale». E per CasaCorrie­re rivive nel chiostro di Sant’Agostino alla Zecca.

Rigillo, conosce questo scrigno d’arte?

«No, per la verità. Napoli offre sempre nuove sorprese. Noi andammo in scena poco distante, in piazza Mercato, dove il capopopolo fu ucciso. CasaCorrie­re mi dà ora l’occasione di inserire questo personaggi­o al quale sono molto affezionat­o in un’altra “visione” che riecheggia di storia e mi consente di arricchire la mia vita artistica».

Due ritorni: Masaniello nel chiostro e lei a Masaniello.

«Tommaso Aniello non se n’è mai andato via. È rimasto sempre con me: più si accresceva la distanza temporale, più quella culturale e sentimenta­le diminuiva. In tutti questi anni ho sempre mantenuto vivo una sorta di dialogo con lui. Quando il Corriere mi ha invitato, credevo di aver smarrito il copione che è stato pubblicato solo una volta sulla rivista “Sipario”. Poi miracolosa­mente è spuntata quella copia e... mi sono commosso. Ho riletto quel testo e mi sono domandato come ho fatto io, allora, a recitarlo in quel modo. Era il 1975, per me un anno di grazia profession­ale, avevo da poco portato in scena Persone naturali e strafotten­ti di Giuseppe Patroni Griffi che fu un successo strepitoso e presto ci sarebbe stato lo sceneggiat­o Dov’è Anna». Qual era «quel modo»? «Pulcinella­scamente, sopra le righe. Avevo letto da poco la Storia di Napoli di Antonio Ghirelli che presentava Masaniello proprio come un attore nel ruolo di capopopolo. Quando è

Attore

Mariano Rigillo

morto, aveva appena 27 anni. Era un ragazzo carico di energia, quella che ci vuole per fare una rivoluzion­e».

Perché questo spettacolo è stato così importante?

«Per molti motivi. Siamo stati l’unica compagnia ad aver fatto la tournée con un tend0ne da circo. L’idea nacque così: una replica andò in scena a Quarto Oggiaro dove il Piccolo di Milano aveva un tendone e fu un gran successo. Stessa cosa all’Eur. Avremmo dovuto fare l’allestimen­to di un’altra opera, invece decidemmo di continuare con Masaniello che in genere andava in scena nelle piazze. Ma era inverno. Chiesi a Carlo Molfese, l’ideatore del Teatro Tenda di Roma, di cui ero amico: Carlo, ti avanza una tenda? Ce la puoi prestare? E lui l’aveva. Giravamo con una famiglia di zingari che, ad ogni tappa, ci aiutava nell’impresa di montare il tendone da circo». Un vero carrozzone d’altri tempi. «Sì, ricorda Gli anni di apprendist­ato di Wilhelm Meister di Goethe. Pensi che di mattina non sapevo cosa fare come tutti gli attori in tournée; andavo nel tendone e trovavo gli zingari che facevano esercizi al trapezio. Così per tre anni. Mi chiedeva della forza dello spettacolo però...». Sì, dica. «C’era un dato formale molto importante: recitavamo senza platea, tra il pubblico, su sei pedane carrellate e due parti fisse: una torre del popolo, e una reggia, magnifica scenografi­a firmata da Bruno Garofalo. L’atmosfera fu speciale sin dall’inizio: ci trovammo in una trattoria romana io, Elvio, Armando, Roberto De Simone che aveva scritto Lo cunto di Masaniello e Bruno che stava studiando le antiche macchine delle feste di piazza. Nel ‘73 c’era stato il colera e volevamo fare uno spettacolo con una forza socio-politica che riscattass­e l’immagine della città. Masaniello fu quello».

In esclusiva per CasaCorrie­re rileggerò il personaggi­o cui sono molto affezionat­o, per giunta in un luogo che riecheggia di storia

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