Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Nuovo design e pubblicità Oggi il capitalismo è artista
Il filosofo francese, protagonista del Sessantotto, ospite dell’Università «Vanvitelli»
come bonus», spiega Philippe Starck. E il design non riguarda solo la visualizzazione degli oggetti: investe i suoni, il tatto, gli odori, i sogni, si fa appello a tutto ciò che crea emozioni ed esperienze. Il capitalismo artista è quello che generalizza i mercati della sensibilità.
Non si creano più solo prodotti: si creano marchi carichi di immaginario e di emozioni. L’industria vuole essere creativa come le campagne di Appel e Mercedes con gli slogan «Le nostre auto sono veri oggetti d’arte». L’intensificazione della concorrenza costringe a strategie di differenziazione sempre più audaci, che mobilitano le logiche dell’ibridazione. È tempo di miscelare, di deregolamentare tutto ciò che distingueva arte e industria, avanguardia e mercato. La logica della moda interviene ovunque, stilizzando in modo tale che ogni prodotto diventa un elemento di collezione che si rinnova stagionalmente. Si sviluppa il co-branding: proliferano le serie limitate di modelli di auto in collaborazione con i marchi di moda, i produttori di attrezzature sportive invocano i creativi più alla moda, i marchi di lusso invitano artisti a progettare collezioni, allestire vetrine, realizzare spot pubblicitari. Il capitalismo artista ha generalizzato la logica della moda (accelerata obsolescenza, seduzione, differenziazione) nell’universo degli oggetti, degli spettacoli, della comunicazione. A differenza dell’era Ford, la costruzione dei marchi non è più separabile dalle strategie estetiche.
Capitalismo artista, dunque. Ci chiediamo se l’espressione è legittima? Certo, non si tratta più dell’arte per l’arte, ma, sulla scia di Baudelaire che faceva del trucco un’arte, il mercato «artializza» il mondo a modo proprio. Crea un nuovo tipo di arte inedita, probabilmente non un’arte disinteressata che eleva l’anima, ma non è neanche una degradazione del gusto. Contrariamente all’antifona di un impoverimento estetico del senso comune, stiamo assistendo ad un aumento tendenziale del gusto. Dimostrazioni ne sono la gastronomia, il turismo, l’architettura d’interni, l’arte dei giardini, la cosmetizzazione del corpo, la musica non-stop, le pratiche dei dilettanti delle arti, la frequentazione dei musei che attirano un pubblico in crescita. C’è un aumento del desiderio di emozione artistica e una moltiplicazione per tutti di esperienze estetiche. Siamo lontani dall’immagine dell’impoverimento o della proletarizzazione estetica del consumatore. Il capitalismo artista ha favorito la democratizzazione di un Homo aestheticus che cerca in tutti i campi «impressioni inutili» (Paul Valéry), nuove percezioni, sensazioni ludiche ed edonistiche, vibrazioni emotive.
L’estetizzazione ha sempre accompagnato la storia dell’umanità. Ciò che distingue la contemporaneità, è che non è più comandata dagli dèi, né dai re, né dall’arte pura, ma dall’interesse commerciale. Fino ad allora, l’estetizzazione era quella di un «piccolo» mondo: quello dei palazzi e dei saloni, mentre oggi partecipiamo ad una estetica di massa, planetaria. Le forme di deturpamento, del kitsch all’urbanesimo insipido o della spazzatura televisiva, sono innegabili: ciononostante non devono occultare la metamorfosi estetica del capitalismo.
Questa dimensione estetica non è ovviamente ciò che «salverà» l’umanità. Non è in grado di fornire soluzioni ai principali problemi ambientali o di soddisfare le aspettative della giustizia, dell’etica, della dignità e della felicità. L’ordine estetico non rappresenta in toto la nostra cultura, la quale ha diritto ad altri tipi di norme (efficienza, salute, ambiente) che spesso si scontrano frontalmente con gli ideali del piacere e della realizzazione degli individui. Vogliamo assaporare la qualità del presente, ma l’impresa esige una performance crescente con il suo carico di stress, frustrazioni e bassa autostima di sé. Le tensioni si moltiplicano tra il consumismo e l’ecologia, l’edonismo e la medicalizzazione della società, la qualità della vita e l’accelerazione dei ritmi. In questo scenario, i drammi soggettivi (ansia, depressione, dipendenze) e i conflitti intersoggettivi (divorzi, separazioni, incomprensioni...) sono in aumento. Il capitalismo artista globalizzato e l’individualizzazione del nostro rapporto con il mondo sono accompagnati dalla sensazione di non approfittare della «bella» vita. La società sovraestetizzata non conduce necessariamente ad umanità più felice.
L’avvento di un capitalismo estetico non significa che tutto va per il meglio nel migliore dei mondi capitalisti possibili. Va da sé. Si sottolinea che: il capitalismo artista è un sistema fatto di conflitti interni, un sistema a due teste, lacerato tra obiettivi commerciali, i requisiti produttivi, finanziari e le esigenze estetiche. È su questo punto che dobbiamo agire e che possiamo nutrire una certa speranza. Più che mai, bisogna investire la dimensione estetico-creativa. Per noi, europei, è un vettore di grande successo economico. La modernità inaugurale ha vinto la battaglia sulla quantità; non è ciò che ci farà guadagnare nuove quote di mercato. È la qualità che deve essere il nostro obiettivo costante, come la haut de gamme dell’industria tedesca o il lusso francese e italiano. La creatività in generale e l’estetica in particolare devono mobilitare tutte le nostre energie e le nostre imprese. Tale orientamento essenziale per il nostro futuro deve cominciare dalla Scuola. È una delle grandi traiettorie per affrontare le sfide del mondo globalizzato.