Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Dialogo tra de Giovanni e Cairo Le opposte passioni di due tifosi

Il dialogo tra lo scrittore e il presidente del Torino

- Di Maurizio de Giovanni

Un consiglio: se fate il tifo per una squadra, ma proprio tanto, quel tifo che ti fa stare male se i tuoi non vincono, evitate di intervista­re il presidente della squadra avversaria il giorno prima del match. Correrete, in quel caso, una serie di gravi rischi. Urbano Cairo è un imprendito­re ai massimi livelli diverso da quello che si immagina debba essere un imprendito­re ai massimi livelli.

Per carità, dedizione al lavoro, lucidità, visionarie­tà sono quelle che ci si aspetta; unite a una fortissima determinaz­ione, a una innata capacità di fare squadra eccetera, sentendolo parlare del modo in cui affronta gli ostacoli e li supera si capisce il motivo di fondo per cui si ritrova dov’è e si prevede pure l’ulteriore importante tragitto che con molta probabilit­à compirà con le sue aziende.

La differenza sta nella passione. La passione è l’argomento che mettiamo subito al centro della conversazi­one, e il tifoso che lo incontra testa l’imprendito­re sulla questione più importante. Perché il tifoso di passione vive, e se diffidenza ha nei confronti del massimo dirigente di una squadra è nell’eccessiva zavorra della razionalit­à economica che ne limita l’azione. Qui invece la passione non solo c’è, e in quantità anche molto rilevante, ma per Cairo è alla base di tutto: l’elemento di accensione, quella che ti fa fare le ore piccole se sei dentro un progetto e che ti butta giù dal letto assai presto, la mattina dopo. Una passione che è fuoco, e anche fedeltà a un’idea: una febbre che produce la necessità del coinvolgim­ento altrui, perché non serve a niente arrivare alla fine, al raggiungim­ento di un risultato se non lo si condivide con gli altri.

Qui non siamo di fronte a un uomo solo al comando: questo è il bomber che motiva i compagni, tirando fuori il meglio da ciascuno.

E qui insorge il primo rischio per il tifoso conversato­re, la consapevol­ezza che è una vera rogna giocare contro una squadra che riferisce a un presidente così. Perché il sorriso coinvolgen­te e caldo di questo appassiona­to presidente è un bel motore nella macchina dell’avversario.

Urbano Cairo prende il Toro, racconta, sulla base di una passione sì, ma non personale. E’ una storia bellissima, quella del tifo della madre che dopo il fallimento della propria squadra del cuore e considerat­a la possibilit­à del figlio di acquistarl­a lo invita a farlo. Dobbiamo confessare che di fronte a questo dignitoso, discreto accenno alla famiglia ci siamo sentiti coinvolti. Il tifo, abbiamo sempre pensato, ha una radice genetica, una modalità genitorial­e di trasmissio­ne. Per Cairo è andata così, un piccolo immenso regalo alla madre, una rosa portata a una signora che, non dubitiamo, ha avuto lo stesso sorriso del figlio. Il Toro diventa di Cairo per trasmissio­ne familiare, come deve essere per ogni passione; ma è anche un’impresa, che in dodici anni ha avuto dolorosi momenti e magnifiche esaltazion­i.

Il secondo rischio per il tifoso: ritrovare la propria stessa storia in quella dell’avversario, che quindi ti diventa all’improvviso fratello.

La risalita dalle nebbie del fallimento, il dolore di vedersi su campi infimi contro avversari degni ma di categorie impraticab­ili, gli investimen­ti nuovi e a volte frettolosi, dettati dalla voglia di riemergere presto e quindi sbagliati, nuovi investimen­ti più equilibrat­i e razionali. Il tempo che ci vuole, contro l’urgenza di competere di nuovo ai livelli che la storia impone. Il proprietar­io che studia da presidente, che sceglie le persone giuste alle quali delegare la sua stessa passione per cominciare a pianificar­e.

Il terzo rischio che corre il tifoso è trovarsi di fronte a un mix perfetto di razionalit­à e innamorame­nto: per diventare competitiv­i bisogna punta- re sui giovani. Bambini ai quali dare un pallone, un campo e una maglietta. Tatuare sul cuore di un ragazzino uno stemma, un simbolo che pulsi con forza e pompi liquido caldo nelle vene, che diventi un senso del sacrificio e una direzione delle speranze. Comprender­ete che a quel punto pensare di rivaleggia­re con chi ha un così vicino senso dell’identità diventi davvero coml’imprendito­re plicato.

Perché il granata funziona esattament­e come il nostro azzurro: è un’identità. Un senso di appartenen­za assoluta, di legame a una terra e a un’aria. E’ il riconoscim­ento di una storia antica e di un presente in salita, che non ha bisogno di vittorie per alimentars­i perché è la consapevol­ezza di sé stessi l’unica vittoria che ci serve. Quelli come noi, dice innamorato, devono combattere, e combattere e combattere ancora nel rispetto delle regole e sempre per amore.

E quando chiediamo: che cos’è il Toro, presidente?, sappiamo già quale sarà la risposta. E’ un’idea romantica, dice. Come si fa a non essere d’accordo. E adesso giocaci contro, alla squadra di uno così.

Motivazion­i È lui il bomber che motiva i compagni

Fede Granata come azzurro: un’identità

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