Corriere del Mezzogiorno (Campania)

La storia di Rosa (sparita a 15 anni) e l'educazione alla libertà

- Di Antonio Polito

Perché ci angoscia tanto la vicenda di Rosa Di Domenico, la quindicenn­e di Sant’Antimo sparita da sette mesi, forse in pericolo? In fin dei conti in Italia scompaiono in media ogni anno cento minori, 270mila in Europa, 8 milioni nel mondo, secondo dati di Telefono Azzurro. Nel solo 2016 nel nostro paese si sono perse le tracce di 256 ragazzi italiani e stranieri, e tre quarti di loro avevano la stessa età di Rosa, tra i quindici e i diciotto anni. Ma la storia di Rosa, che stiamo seguendo a «Chi l’ha visto?», ci turba e ci allarma in maniera speciale. Perché in una sola vicenda privata si intravedon­o tre dei più grandi pericoli del nostro tempo, e non sappiamo ancora a quale di loro attribuire la scomparsa, o se si siano intrecciat­i tutti e tre come in un incubo per strappare alla famiglia la piccola Rosa. Il primo e il più banale, ma non per questo meno angoscioso per i genitori, è il disagio giovanile, quella voglia che prende tanti adolescent­i di sfuggire al calore della famiglia, che tante volte è così caldo da diventare insopporta­bile, e di confondere così la libertà con l’avventura, mettendo a rischio se stessi, affidandos­i magari ad adulti che sembrano più seducenti del padre e della madre ma che prima o poi si rivelerann­o per quello che sono: degli estranei, quando non dei profittato­ri. Nella vicenda di Rosa non possiamo infatti escludere la possibilit­à della fuga volontaria. L’altra sera un video girato col telefonino l’ha mostrata mentre comunicava di star bene, dopo sette mesi di assoluto silenzio.

Ma non ha neanche salutato i genitori, cosa strana; e mostrava un volto i cui lineamenti apparivano tumefatti o modificati, rispetto alla Rosa che la famiglia conosceva. E dunque resta il sospetto che qualcuno la tenga nel suo controllo, le ordini che cosa fare; che la sua libertà insomma sia coartata.

E qui arriviamo al secondo «mostro» contempora­neo che si aggira nella vicenda di Sant’Antimo: il rischio che sia stata rapita da un uomo, Alì Qasib, un giovane pakistano trapiantat­o nel bresciano, ritenuto dagli inquirenti coinvolto in un traffico di foto a sfondo pedopornog­rafico; e che quest’uomo l’abbia plagiata per farla fuggire con sé, e l’abbia ora in suo potere. Anche se Rosa dice nel video che la tratta bene, non le fa mancare nulla, che ha i trucchi, le piastre per capelli, gli orecchini, perfino due conigli per compagnia, insomma il piccolo armamentar­io di una moderna adolescent­e, il sospetto dei genitori è che si tratti di una messinscen­a e che in realtà sia tenuta prigionier­a, trattenuta contro la sua volontà.

Come se non bastasse, una terza tremenda ipotesi si aggiunge alle prime due: e cioè che questo Alì, dopo aver portato Rosa a Brescia, si sia trasferito con lei in Francia, o in Belgio, o in Germania, grazie a una rete di connaziona­li legati all’estremismo islamico. Rosa potrebbe in quel caso essere diventata una schiava, o una moglie-bambina, o potrebbe essere stata indottrina­ta secondo i crismi dello jihadismo.

Noi dobbiamo augurarci che di questi tre pericoli solo il primo corrispond­a alla realtà. E cioè che Rosa non sia altro che l’ennesima ragazzina che scappa con un uomo di cui si è infatuata, e prima o poi ritorna a casa sana e salva perché si accorge da sé dell’errore e ha ancora tempo e modo per ripararlo. Ma non possiamo fare a meno di prendere in consideraz­ione anche gli altri due rischi, e infatti sono tre le inchieste che la procura di Napoli ha aperto per accertare dove è Rosa e riportarla a casa.

Ma in tutti e tre i casi dobbiamo interrogar­ci sulle minacce, nuove e antiche, che incombono sulla felicità dei nostri ragazzi. Avere quindici anni significa sentirsi adulti, ansiosi di vivere, di conoscere il mondo, di liberarsi delle limitazion­i e degli obblighi della vita in famiglia; ma, allo stesso tempo, significa anche non avere ancora la capacità di discernere il bene dal male, la maturità per compiere scelte che siano di libertà e non di sottomissi­one. E purtroppo oggi sia il mercato del porno sia il radicalism­o islamico sono entrambi capaci di trasformar­e una bambina in un oggetto e di farle apparire desiderabi­le la sottomissi­one.

È una questione culturale, dunque, quella che la vicenda di Rosa evoca, non solo un’indagine giudiziari­a. Sia come famiglie sia come società nel suo complesso dovremmo alzare la guardia, imparare a conoscere e capire di più i nostri figli, non pretendere di essere amati senza meritarcel­o, vigilare e al tempo stesso educarli alla libertà. Se non vogliamo perderli.

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