Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Lo spumante di «Sarno» Negli anni fedele al Fiano
Quasi tutte le aziende irpine non hanno resistito alla tentazione di estendere la produzione a tutti i classici dell’enologia provinciale, a prescindere dall’ubicazione delle proprie vigne e della cantina. Una scelta, peraltro comprensibile, dettata da evidenti ragioni commerciali. La Tenuta Sarno, che ha avviato l’attività con l’annata 2009, finora è tuttavia rimasta fedele al vitigno che rappresenta l’espressione tipica del piccolo comune di Contrada: il fiano. Ne apprezziamo tutti, credo, il bianco fermo, di grande personalità e spessore, elegante e ricco di sfumature, naturalmente proteso verso una lunga evoluzione e interessante evoluzione. Piuttosto che prendere in considerazione l’ipotesi di allargare la produzione al Greco di Tufo e al Taurasi, magari anche al Falanghina, Maura Sarno e l’enologo Vincenzo Mercurio hanno deciso di avviare la sperimentazione di uno spumante. Prima annata in commercio, la 2015, fra poco in circolazione anche il millesimo successivo. Parlo del primo. Si tratta di un vino realizzato partendo da uve raccolte nella parte più ombreggiata della tenuta, a un’altitudine di circa 600 metri sul livello del mare. La spumantizzazione avviene in una azienda di Roncadelle in provincia di Brescia con metodo Charmat lungo. Il risultato è molto vicino a quello che si ottiene attraverso la rifermentazione in bottiglia. Davvero molto soddisfacente. Di colore paglierino, con leggeri riflessi verdolini, è brillante e presenta un perlage fitto e continuo. Sentori spiccatamente minerali colpiscono i recettori olfattivi, insieme a note floreali e di agrumi. In bocca è cremoso, decisamente secco (del resto è un pas dosé), molto fresco. Persistenza soddisfacente. La mezza bottiglia in più che gli attribuisco è un premio per la qualità superiore che riesce a esprimere uno spumante autoctono non ottenuto col metodo classico. Da servire come aperitivo, su seppie, calamari, alici fritte e sulla mozzarella di bufala.