Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Per la sicurezza l’approccio globale sarà la nuova sfida
Sergio Iavicoli guida il dipartimento di medicina epidemiologica e igiene ambientale Inail « La prevenzione c’è ma ci vuole un approccio globale anche per il cambiamento dei luoghi»
C’era una volta il lavoro: stipendiato, dipendente e a tempo indeterminato. Oggi però è riduttivo parlare di lavoro in una sola forma. Rispetto agli anni passati ci sono molti più liberi professionisti e sono nate nuove forme come il lavoro somministrato, quello ad esempio degli infermieri che, gestititi da cooperative, si spostano a seconda delle necessità da un ospedale all’altro. Su tutto c’è poi lo spettro del precariato, che con la sua incertezza incide sulla salute mentale, ambito delicato su ancora si indaga poco.
Se da una parte il lavoro non ha più il solo volto del posto fisso, anche le professioni più tradizionali stanno cambiando con la complicità dei processi di automazione e digitalizzazione. Oltre al fatto che si rimane in attività per più tempo. Uno scenario nuovo e complesso che modificherà il nostro concetto di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il come lo spiega Sergio Iavicoli, direttore del dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail: «C’è bisogno di un approccio nuovo, integrato, che superi il concetto di gestione del rischio nel senso classico, cioè di responsabilità del datore di lavoro».
Oggi, secondo Iavicoli, questo genere di sistema manca, perché aggiunge: «La prevenzione c’è, come c’è l’obbligo di valutazione del rischio per i lavoratori dipendenti, ma il nostro sistema considera problemi specifici, anche non attuali. Ad esempio, in Italia abbiamo oltre 4 milioni di persone che vengono sorvegliate per l’esposizione a videoterminale. Ci vuole un approccio più globale, che metta insieme la salute complessiva dell’individuo con quella lavorativa, oltre a considerare come sono cambiati i luoghi e i modi di lavorare».
Una soluzione utile a riempire il vuoto potrebbe essere questa: «I due aspetti, lavoro e salute, devono dialogare, nel pratico ci vorrebbe un maggior rapporto tra medico del lavoro e medico curante. Anche i clinici devono fare la loro parte, infatti, il loro livello di conoscenza sulle malattie del lavoro è basso, in una cartella clinica su questo molto spesso c’è solo una riga. È un tema più complesso che va oltre la gestione delle aziende e gli adempimenti di legge, è una svolta culturale». Un’inversione di tendenza necessaria, ma per il momento lontana dal dibattito, infatti, «quando si parla di digitalizzazione e automazione dei processi- commenta Iavicoli- si discute delle difficoltà di impiego, non di quali saranno i rischi correlati alla salute, ancora da studiare».
L’altra sfida è quella dell’invecchiamento della popolazione e del conseguente aumento dell’età pensionabile.
«Ci viene chiesto di lavorare fino a quasi 70 anni, a questo punto la domanda è come mantenere le persone a lavoro – si chiede il direttore- Con l’età subentra il rischio di malattie croniche degenerative e cardiovascolari, questo va oltre il mero rischio legato al luogo di lavoro e riguarda l’abilità lavorativa nel suo complesso. Poi oltre il 40% delle patologie muscolo scheletriche a carico della schiena viene dal lavoro. Se dobbiamo rimanere in attività più a lungo quel tipo di patologia deve essere affrontata in modo più complessivo e non solo come una pratica burocratica».
Su questo punto è necessario non solo far aumentare la consapevolezza nei lavoratori, ma anche in chi gestisce le imprese, perché «una buona gestione della salute del personale diminuisce l’assenteismo e incide sui costi e sulla competitività. Si tratta di un investimento e non di un onere».
Il testo unico sulla sicurezza sul lavoro, che l’anno prossimo compirà 10 anni, è uno strumento per far emergere le violazioni, ma fondamentale per adeguarsi al cambiamento sarà modificare la mentalità. «Con la consapevolezza della salute sul lavoro siamo indietro, c’è bisogno di un’attenzione a questa cultura fin dalla scuola per sensibilizzare i giovani, perché all’inizio si da priorità all’occupazione e meno alla sicurezza», conclude Iavicoli.