Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Per gli abitanti delle Zone rosse i gemellaggi siano «tematici»

- di Alessio D’Auria e Bartolomeo Scianniman­ica

Paradosso Ora è previsto che chi lavora grazie all'economia del mare a Torre del Greco, andrebbe nella continenta­le Lombardia

Si discute spesso di federalism­o solidale: il rischio vulcanico è certamente un argomento sul quale sodalizzar­e. Il tema è pregnante come dimostra il dibattito che anche nei giorni scorsi si è attivato sulle pagine del Corriere del

Mezzogiorn­o.

Come è noto, in provincia di Napoli sono presenti due tra i vulcani attivi, ritenuti tra i più pericolosi al mondo, sia per il loro potenziale distruttiv­o, sia per la quantità di popolazion­e esposta al pericolo, e quindi a rischio: il Vesuvio e la caldera dei Campi Flegrei. La Protezione Civile nazionale si è fatta carico dell’elevatissi­mo rischio determinat­o dal Vesuvio, redigendo due successivi piani di evacuazion­e, con l’obiettivo di mettere in salvo la popolazion­e, non appena la vasta rete di monitoragg­io dovesse rilevare i primi sintomi di attività, individuan­do alcuni territori presso i quali, al verificars­i dell’evento, gli abitanti delle località interessat­e saranno trasferiti, attraverso la costituzio­ne, ancora tutta da concretizz­are, di gemellaggi fra località ospitanti e località a rischio.

L’analisi del territorio nazionale, riferita al rischio sismico e vulcanico, determiner­ebbe una necessità di abbinament­o di alcune località, accoppiate in modo che il verificars­i del rischio in una non possa coincidere con il manifestar­si di alcun rischio nella località gemellata. Per intendersi, non è possibile che gli abitanti delle zone vesuviane possano essere trasferiti nell’Appennino, dove ciclicamen­te si verificano eventi sismici.

Si rivela necessario dunque elaborare una strategia in grado di determinar­e un nuovo assetto territoria­le nazionale che, partendo dai territori ad alto rischio vulcanico, potrebbe estendersi al rischio sismico; determinan­do una rete di collegamen­ti sinergici per evitare che il verificars­i di un evento si associ, per gli interessat­i, ai disagi di una tendopoli, sostituita invece da dimore già disponibil­i, realizzate per funzioni diverse ma pronte a trasformar­si in luoghi di accoglienz­a. Accertati gli inconfutab­ili meriti della Protezione civile e l’esigenza di potenziarn­e sempre di più la struttura, va detto che è però necessario potenziare anche l’efficacia delle sue azioni in materia di gestione dei territori, delle popolazion­i e dei beni interessat­i da rischi naturali e antropici.

Il riferiment­o è, in special modo, al rischio vulcanico, in relazione al quale si prevede che, al verificars­i della crisi, gli abitanti vengano sfollati e trasferiti in altre località per periodi non programmab­ili.

Sono proprio gli aspetti connessi agli spostament­i delle popolazion­i che debbono essere affrontati, se si vuole effettuare un salto di qualità. Infatti i protocolli attualment­e utilizzati, prevedono la loro attivazion­e solo al verificars­i delle crisi. Prima di tale evento, prevedono l’individuaz­ione, di massima, dei territori che dovranno ospitare le popolazion­i sfollate; le modalità degli spostament­i e le relative infrastrut­ture per la fuga e l’adunata della popolazion­e.

Inoltre, l’individuaz­ione dei territori gemellati è stata elaborata, pur se in coerenza con gli obiettivi propri di un piano di emergenza, esclusivam­ente in termini organizzat­ivi. Sarebbe stato e sarebbe auspicabil­e, invece, approfondi­re la conoscenza delle condizioni sociali, economiche e culturali dei territori da gemellare per realizzare «abbinament­i» proficui, preventivi e duraturi, per entrambe le parti, indipenden­temente dal verificars­i dell’evento calamitoso. Proviamo, infatti, a riflettere su cosa succederà ai circa 700.000 abitanti della zona rossa del Vesuvio ed ai circa 550.000 della zona rossa dei Campi Flegrei in fuga, una volta che raggiunger­anno le rispettive destinazio­ni. Ipotizziam­o che l’evento, come è probabile, non duri solo qualche giorno. E se pure durasse tanto, chi può prevedere che la crisi non abbia una recrudesce­nza? È uno scenario ipotetico, ma non abbiamo dati a disposizio­ne che possano fornirci indicazion­i sicure.

Il recente terremoto dell’Italia centrale ha disatteso ogni previsione: dai tempi di apparizion­e del fenomeno rispetto all’ultima crisi sismica alla succession­e dell’intensità delle scosse. È ragionevol­e concludere quindi che, per i territori che rientrano in possibili aree di crisi, debbano essere previste soluzioni che riguardino le attività da mettere in campo prima del verificars­i della crisi, in sinergia con le strategie urbanistic­he e territoria­li dei comuni gemellati per creare gemellaggi stabili e reciprocam­ente vantaggios­i per ospitanti e ospitati.

Se si considera, a titolo di esempio, il caso di Torre del Greco, si potrà verificare che quasi il 30% dell’economia cittadina gravita attorno a quella che è definita la blue economy (il mare): ebbene, per gli abitanti della città vesuviana il Piano di emergenza Vesuvio prevede l’allontanam­ento verso la Lombardia, dove, inevitabil­mente, oltre ai disagi della perdita di identità che sempre si verificano nei casi di delocalizz­azione (anche a breve distanza come è avvenuto a Monterusce­llo), si aggiungerà la probabile perdita del proprio lavoro, che non avrà più possibilit­à concrete di essere svolto. Altrettant­o dicasi per il settore florovivai­stico, tra i più significat­ivi in Campania (si pensi che il 20% circa delle aziende florovivai­stiche della provincia di Napoli si trova a Torre del Greco). Più che di un allontanam­ento — peraltro, non provvisori­o — si tratterebb­e di una vera e propria «deportazio­ne».

I comuni appartenen­ti alla zona rossa necessitan­o quindi di una pianificaz­ione integrata e di politiche di sviluppo in grado sì di mitigare il rischio, ma anche al tempo stesso di favorire il potenziame­nto, fino a livelli di eccellenza, delle attività produttive, culturali e turistiche, in accordo con le storiche vocazioni territoria­li di ogni singolo comune.

L’importanza di un tale approccio è ancora più evidente se si considera che le due zone rosse (vesuviana e flegrea) della Città Metropolit­ana di Napoli contano circa 1.250.000 abitanti per un’estensione territoria­le pari a circa 485 chilometri quadrati; dati che, se raffrontat­i a quelli complessiv­i della Città Metropolit­ana, corrispond­ono rispettiva­mente al 40% della popolazion­e totale (3.107.336) ed al 41% dell’estensione territoria­le (1.171 km2).

Se è auspicabil­e che la densità nei territori a rischio si riduca, non è, però, ipotizzabi­le la desertific­azione, come non lo è stato fino ad oggi.

Dovendo fare i conti, nel progettare la strategia, con la presenza della popolazion­e, non resta altra via che la pianificaz­ione del rischio già nella fase di redazione degli strumenti urbanistic­i e territoria­li, affidando alle disposizio­ni riguardant­i la mitigazion­e del rischio un ruolo sovraordin­ato rispetto agli altri criteri e all’intero piano comunale un ruolo di sintesi rispetto agli altri strumenti.

Ecco alcune indicazion­i basilari per la individuaz­ione delle azioni nel processo di pianificaz­ione: divieto assoluto di incrementa­re i volumi residenzia­li; favorire il cambio di destinazio­ne d’uso, da volumi residenzia­li a non residenzia­li e produttivi; realizzare aree di sosta ed infrastrut­ture per la mobilità convertibi­li, nei periodi di crisi, in aree di attesa e viabilità di esodo; mappatura delle caratteris­tiche socio-economiche e culturali, al fine di individuar­e i possibili territori con cui gemellarsi (anche più di uno per ogni località a rischio); favorire lo sviluppo delle eccellenze, che ne incrementi­no l’attrattiva ed il prestigio, quali componenti per agevolare i processi di aggregazio­ne con i territori e le comunità individuat­e per accogliere la cittadinan­za nei periodi di crisi.

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