Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Arturo ora sta meglio: voglio qui i miei amici

Gli altri genitori: quei bulli li conoscono tutti

- Fa. Pos.

«Arturo resisti, siamo qui ad aspettarti». Gli hanno disegnato un poster colorato con al centro la foto dell’ultima gita. Felici, sorridenti e spensierat­i come sono tutti i ragazzini di 17 anni e come lo erano tutti prima della tragedia che ha colpito un loro amico.

«Non ti lasceremo mai solo», gli hanno assicurato stringendo­gli la mano. Arturo è fuori pericolo e ha chiesto ai medici se poteva averli accanto a se in stanza, tutti i suoi compagni di classe. Così un po’ per volta sono entrati e lo hanno coccolato. Poi sono usciti con gli occhi gonfi di lacrime ma più sereni: Arturo è forte. Non hanno dubbi i compagni di classe del liceo Cuoco al rione Sanità del ragazzo accoltella­to con ferocia da dodicenni e tredicenni.

Fanno la spola al reparto di rianimazio­ne del San Giovanni Bosco accompagna­ti dai loro genitori ininterrot­tamente da lunedì pomeriggio, da quando il «branco» di ragazzini è entrato in azione in via Foria. Con loro ci sono insegnanti e conoscenti, colleghi di lavoro della mamma Maria Luisa Iavarone, insegnate all’università Partenope, e del papà Vincenzo Puoti, ingegnere aerospazia­le.

«Abbiamo paura di camminare in strada, ma questo da sempre, da molto prima che aggredisse­ro Arturo. Il rione Sanità, piazza Cavour, via Foria e via Duomo sono pieni di ragazzi che girano sugli scooter e ti mollano ceffoni per niente», dice una delle amiche di classe di Arturo mentre stringe la mamma al padre.

«Li conoscono tutti e quando li vediamo cerchiamo di girare dall’altra parte. I nostri genitori ci raccomanda­no in caso di rapine di consegnare tutto quello abbiamo, soldi e cellulare, e di non reagire mai, neanche a parole». Ma a quanto pare non basta. Arturo è stato aggredito per nulla, con una scusa qualunque affiancato, picchiato e accoltella­to.

«Alcuni di loro frequentan­o la scuola media delle Fontanelle e scendono ai Vergini proprio per picchiarci, siamo delle vittime», dice invece un altro dei suoi amici di classe. «Arturo è stato vittima di uno

di quei branchi, ne siamo sicuri». La mamma, la professore­ssa cerca di dare una spiegazion­e all’aggression­e contro suo figlio. «Sono belve che volevano uccidere e lo hanno fatto perché speravano fare il salto, dimostrare alla malavita del posto che sono pronti per diventare affiliati e così hanno usato una violenza inaudita contro un bravo ragazzo - ha detto - Lo hanno colpito alla gola perché uno dei quattro ragazzi ha urlato di finirlo, di lasciarlo al suolo. Non voglio credere che consegniam­o ai nostri figli un mondo così violento. Vorremmo una città che garantisse ai suoi figli di camminare indenni per strada e che avessero una idea di futuro».

La donna, provata dal dolore che l’ha travolta, ritiene che sia importante che i mass media parlino tutti i giorni di quanto accaduto a suo figlio. «L’opinione pubblica si deve indignare perché il mio non è un dramma privato ma deve essere un fatto che riguarda la coscienza civile di tutti, dell’intera città. Aiutatemi in questa battaglia: non lasciamo che tutto cada nel dimenticat­oio e che un altro ragazzo rischi la vita per nulla. Io non so se avrò la forza di restare in questa città, andrò via per mio figlio perché non so se troverà il coraggio di resistere e andare avanti. Si sentirà insicuro, avrà paura della sua ombra, di uscire di casa e noi non possiamo restare qui», ha detto.

Il padre si commuove e dice: «Chi ha visto adesso parli. Lui è fuori pericolo ma poteva succedere a tutti». «Non molleremo mai - dice il questore di Napoli, De Iesu - Ci sono uomini che lavorano non solo in quanto poliziotti ma anche da padri di famiglia e questo è un valore aggiunto nello stimolo investigat­ivo».

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La mamma La professore­ssa Maria Luisa Iavarone, madre di Arturo,

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