Corriere del Mezzogiorno (Campania)
De Silva: sono bambini? Per loro non provo pietà
A colloquio con l’autore di «Certi bambini»
Rosario non c’è più; lui, il protagonista di Certi bambini, di Diego De Silva è lontano mille miglia dai quasi bambini che hanno accoltellato il diciassettenne. «Rosario era un romantico - ricorda lo scrittore - per questi ragazzi invece io non provo pietà».
NAPOLI Rosario non c’è più; lui, il protagonista di Certi bambini, romanzo d’esordio di Diego De Silva è lontano mille miglia dai minori ritenuti tra gli aggressori del 17enne colpito a coltellate lunedì scorso in via Foria. «Rosario era un romantico inghiottito dal vortice camorristico», ricorda lo scrittore. «Nulla a che vedere con i ragazzi di oggi». De Silva legge da Roma, sul tablet, dell’ultimo sanguinoso episodio criminale.
De Silva sono passati 16 anni da “Certi bambini”. Quel libro lo riscriverebbe come allora?
«Certamente no; non userei gli stessi toni. Oggi sarebbe più livido, più violento».
I toni usati all’epoca scandalizzarono. La realtà di oggi li ha superati (e l’ha superata) a cento all’ora.
«Come le dicevo Rosario era un romantico. Nei ragazzi di oggi vedo un’assuefazione alla malvagità, alla spietatezza. Oggi c’è una malvagità professionalizzata. Insomma: l’idea è di colpire per primi e con ferocia per mandare messaggi a qualcuno. È un’operazione per far capire chi comanda. E il sottotesto che ci rimanda è la cancellazione di un argine etico: comprendere il dolore della vittima».
Le modalità sono efferate: fendenti a petto e schiena. Una al collo.
«È una maniera per dire “ti lascio il segno”. Ti devi ricordare di me».
De Silva, al di là dell’antropologismo un tanto al chilo, è giusto non provare pietà per ragazzi del genere?
«Non si può avere pietà nel senso che non è necessario averla. Non mi imbriglio in retaggi cattolici o soprassalti di perdonismo. Non me ne frega niente della pietà. Sono dalla parte della legge: la responsabilità è personale; hai commesso un delitto? Paghi. Detto questo però è anche vero che occorre capire il contesto in cui tutto ciò avviene. Fatto di assenza di cultura, latitanza di istituzioni e insegnamenti».
Ho l’impressione che ora lei tiri fuori il discorso sull’assenza delle istituzioni, sull’impoverimento culturale e via dicendo.
«Deve essere anche così. Una sensibilità culturale lascia il suo segno. Le racconto una cosa: proiettammo il film tratto da Certi bambini in una sala in uno dei quartieri degradati di Napoli. Alla fine della proiezione uno dei ragazzi tra gli spettatori si alzò e disse: “Mi sono riconosciuto. Quando faccio certe cose io non mi vedo. Qui invece mi sono visto e non mi sono piaciuto”. Capito? Un film accese una scintilla di riflessione. Occorre cominciare dalla scuola».
Non dimentichiamo la scuola...
«Così come è oggi, assottigliata di risorse economiche e umane, non si va da nessuna parte. Le racconto un’altra cosa: mia figlia va a scuola a Salerno, alla “Pirro”, la stessa che ho frequentato io. Lo sa che è identica negli anni: piastrella per piastrella, porta per porta. Non una miglioria, non una diversità. Capisce».
Non le viene il dubbio che chi usa la violenza ha solo il desiderio di affermare il proprio potere, rispondere alla legge del più forte, magari raggranellare soldi facili tanti quanti non ne farebbe lavorando onestamente?
«Per poi finire dietro le sbarre? Un leone forte che però poi finisce in gabbia? Non credo».
I leoni affascinano come ci ha insegnato “Gomorra-La serie”. A proposito fa più male o bene?
«Facciamo un bilancio: alla fine i protagonisti della serie sono dei falliti. Certo una sorta di emulazione la creano per questo Gomorra presenta una contraddizione che tuttavia non si risolve. Quindi la vietiamo? La escludiamo? Occorre misurarsi con questa contraddizione».