Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’americano che sfidò la lava
L’impresa di FranK Perret durante l’eruzione del Vesuvio nel 1906
Nel mondo esistono luoghi speciali che possono stravolgere la vita delle persone, come fu per Frank Alvord Perret quando, agli inizi del ‘900, s’imbatté nel Vesuvio in un incontro che cambiò per sempre la sua vita e fu all’origine di una delle più grandi avventure della vulcanologia.
All’inizio del secolo scorso, Frank A. Perret è un giovane ingegnere americano, brillante e di successo. Nato a Filadelfia nel 1867, inizia a lavorare prestissimo con il famoso industriale e inventore Edison finché, a soli diciannove anni, si mette in proprio aprendo una fabbrica, la Elektron Manufacturing Company, dove produce motori elettrici, i primi ascensori e finanche una delle primissime auto elettriche della storia. Nei sedici anni seguenti, Perret non si ferma un attimo e lavora così bene e così tanto alle sue invenzioni e ai suoi brevetti che, nel 1902, ad appena trentacinque anni, si ritrova finanziariamente tranquillo ma con un fortissimo esaurimento nervoso che lo costringe ad abbandonare tutte le attività e a rinchiudersi, apatico e solitario, nella casa dei genitori. Ancora non lo sa, ma la sua vecchia vita è finita e sta per iniziarne una nuova, completamente diversa.
Nel tentativo di scuoterlo, il medico consiglia a Perret di lasciare gli Stati Uniti per un periodo di riposo. Ha già in mente un luogo del Mediterraneo in cui, da secoli, si va per ritemprare il corpo e lo spirito. Un luogo dove, per gran parte dell’anno, un caldo sole bacia un mare azzurro circondato da verdi colline profumate d’arance e limoni: il medico ha in mente Napoli. Perret si lascia convincere senza immaginare, però, che sulle rive del golfo vi sarebbe rimasto per oltre quindici anni, trattenuto dalla passione per i misteri della natura e dall’innata curiosità scientifica, che risveglieranno la sua mente stanca e intorpidita.
Quando Perret giunge a Napoli, nel 1903, vede il Vesuvio e ne resta come ossessionato, sicché l’incontro con Raffaele Matteucci, direttore dell’Osservatorio Vesuviano, è inevitabile perché i due sono spiriti affini e Matteucci è un altro innamorato cronico del vulcano, su cui vive quasi in eremitaggio nell’Osservatorio, per non allontanarsene mai troppo. In breve tempo Perret diventa il suo assistente e inizia a studiare il Vesuvio applicando le sue conoscenze tecniche. Inventa, ad esempio, un ingegnoso diagramma con cui descrive i parametri dell’attività vulcanica e realizza strumenti elettromagnetici per ascoltare i suoni del sottosuolo. In questo modo individua dei segnali che chiama «tremori armonici», vibrazioni ritmiche nel suolo che precederebbero un’eruzione e, nell’aprile 1906, ne intuisce l’avvicinarsi.
Quando il 4 l’attività eruttiva inizia davvero, Perret, armato di macchina fotografica, si precipita all’Osservatorio con l’ultima corsa della funicolare, prima che la lava ragbinieri giunga i binari. Lì, con Matteucci e alcuni carabinieri, il 6 aprile, aiuta gli abitanti della zona a fuggire dalla minaccia di una nuova bocca eruttiva. A quel punto l’attività vulcanica è già così intensa che Perret deve tornare a Napoli per telegrafare in America e tranquillizzare i familiari. Subito dopo, però, noleggia una carrozza e si avvia di nuovo verso l’Osservatorio. Lungo la strada incrocia migliaia di persone che fuggono terrorizzate perché, nella notte tra il 7 e l’8, la sommità del cono del Vesuvio è collassata e l’eruzione è diventata ancora più violenta. Nel caos totale, tra continue scosse di terremoto, boati e getti di lava, Perret aiuta molti a mettersi in salvo finché incontra Andrea Mormile, il capostazione della funicolare e assieme a lui, seguendo i binari, raggiunge l’Osservatorio, dove sono rimasti Matteucci e il brigadiere dei cara- Migliardi. Da quel momento i quattro resteranno assediati per giorni nello storico edificio, mentre fuori si scatena l’inferno e l’eruzione raggiunge l’apice.
La situazione è sempre più grave: l’Osservatorio è quasi circondato dalla lava, le finestre sono rotte e si fatica a respirare a causa del fumo e della cenere. Ciononostante, quando il vento spinge la colonna piroclastica sui fianchi della montagna azzerando la visibilità, i quattro non esitano a uscire per portare in salvo, con una corda, una cinquantina di abitanti della zona rimasti bloccati. Durante quelle drammatiche giornate Perret, però, non smette di scattare fotografie di tutte le fasi dell’eruzione. Quando il 21 aprile l’evento, finalmente, si conclude, l’americano ha realizzato la prima documentazione fotografica completa di un’eruzione vesuviana che, con 216 morti, 112 feriti gravi e oltre 34.000 sfollati, sarà la più grande del secolo.
Dopo quest’avventura i quattro furono soprannominati gli «eroi del dovere» e una storica fotografia li ritrae, subito dopo l’eruzione, davanti all’Osservatorio circondato dal materiale vulcanico. L’episodio fece il giro del mondo e per gli atti di eroismo compiuti e l’attaccamento al dovere mostrato, gli eroi del Vesuvio ricevettero un’onorificenza dal re d’Italia. Perret rimase ancora molti anni a Napoli studiando il Vesuvio e gli altri vulcani come lo Stromboli e l’Etna, ma fece anche lunghi viaggi in Giappone, Martinica e alle Hawaii, dove fondò l’osservatorio vulcanologico di Kilauea. Nel 1940, ormai vulcanologo di fama mondiale, tornò in America dove trascorse gli ultimi tre anni di vita, scrivendo libri di vulcanologia e ricordando che sul Vesuvio aveva vissuto la più fantastica avventura della sua già straordinaria vita.