Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Altro che «percezione» Qui la violenza impera

- di Francesco Donato Perillo

«Nelle prossime statistich­e eliminate Napoli, è troppo fuori scala, esagerata, per poterla misurare». Così Erri de Luca commentava la graduatori­a del Sole 24 ore sulle città più vivibili che vede Napoli al penultimo posto in Italia. Beati noi, dunque, che passeggiam­o sul lungomare e anche di notte possiamo fare baldoria e mangiare ovunque cose semplici e squisite a prezzi bassi.

«A Napoli si vive ovunque meglio rispetto alle statistich­e», è stata la risposta del sindaco ai numeri impietosi che hanno misurato ricchezza, consumi, lavoro, ambiente, sicurezza, cultura e servizi. Tutto è percezione, come ha scritto ieri Nicola Quatrano sulle colonne di questo giornale.

Napoli è come la viviamo, è il modo in cui viene presentata dai media e dai titoloni dei giornali e rappresent­ata. Anzi, come sosteneva il filosofo Aldo Masullo, Napoli è in sé rappresent­azione, infinito teatro. Come il Cristo di Sanmartino velata dalla sua stessa rappresent­azione. Se vi fosse dunque maggiore sobrietà da parte dei media, potremmo concludere che qui è tutto normale, che questa città è afflitta da una violenza e un degrado civico pari a quello riscontrab­ile in qualunque altra metropoli del mondo. È il velo della rappresent­azione ad avvolgere di noir la città, come la secrezione della seppia.

Ma non possiamo fermarci a questo senza correre il rischio di una supina accettazio­ne dello statu quo di una realtà metropolit­ana che invece sotto quel velo si dimena e urla la sua segregazio­ne. Napoli va svelata, e non nel senso del film di Ozpetek: la posta in gioco non è il mistero, il furto di una maschera, la natura bipolare del suo disordine, ma il progetto stesso di una città possibile. Tocca alla politica, nel senso etimologic­o della parola, e a una classe dirigente oggi come ieri troppo latitante nei suoi salotti, sollevare il velo e affondare il bisturi. Qui si gioca la partita tra chi, come de Magistris, opera sul piano della rappresent­azione, generando l’immagine di una capitale dell’autonomia, della tolleranza e dell’amore, e chi invece si adopera per far funzionare le cose in una città normale.

Se è vero che gli alberi di Natale negli spazi pubblici sono stati oggetto di furto un po’ dovunque, a Napoli questo è avvenuto sistematic­amente e nella Galleria Umberto, nel cuore simbolico della città. Nessun albero è stato sradicato sotto la torre Eiffel, alla porta di Brandeburg­o, davanti al Duomo di Milano o al Guggenheim di Bilbao. Se è vero che le baby gang imperversa­no anche altrove, qui si moltiplica­no, hanno i coltelli più affilati, a bordo degli scooter fanno raid e stese in periferia come al centro.

Se è vero che ai Navigli a Milano la notte si fa musica e si consuma alcol, qui il volume della movida supera ogni limite, snatura la città e rende ostaggio permanente i residenti. Se è vero che il trasporto locale è al tracollo a Roma come a Napoli, solo qui la notte di Capodanno la città è rimasta appiedata.

Sono solo violenze percepite, enfatizzat­e dai titoloni sui giornali?

La percezione non è la realtà, ma lo diventa quando si supera un limite. Certo, il problema è sempre e comunque nel modo in cui lo vediamo e lo viviamo: ogni esperienza è soggettiva, «la mappa non è il territorio», come ci ha insegnato Batenson. Ma a Napoli la differenza tra il reale e il percepito è resa sottile dalla misura con cui i suoi fenomeni si manifestan­o.

Come nel Cristo velato quel velo non nasconde il Cristo, ma lo svela.

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