Corriere del Mezzogiorno (Campania)
E al cinema il turismo diventa estetica
La trama è poco consistente e gli attori ci restano impigliati, avvolti in un gomitolo di fatti che s’aggroviglia quanto più la sceneggiatura divaga alla ricerca di un senso. Autentica protagonista del film di Ozpetek, anche la Napoli velata, come i personaggi immersi e incollati in una specie di melassa amniotica, è una matassa d’immagini declamate, sparse sullo schermo.
angosciante di L’amore molesto (1995) di Mario Martone. Opere tutte in presa diretta sulla città che raccontavano, con storie e personaggi contemporanei al mondo in cui venivano filmati. Forse perché si trattava di tre registi napoletani, ma questo è difficile da sostenere, la Napoli di Rosi, di Piscicelli e di Martone avveniva davanti alla macchina da presa diventando linguaggio visivo e cioè codice estetico ed etico utile per vedere, sentire e comprendere realtà vissute e non ancora elaborate dal sentimento comune. L’urbanizzazione violenta e fraudolenta della città-paesaggio, il degrado architettonico e l’emarginazione sociale e morale di Scampia, infine il caos, l’insolenza e l’incompiutezza di una metropoli contraddittoria, moderna e arcaica:
Eppure noi napoletani siamo tutti qui a discettare della bellezza presunta di un mondo che non esiste, di un film barcollante e, per dirla tutta, di un erotismo di maniera, non si sa se dei sensi o dell’immaginazione. Performativo più che significativo. Nella storia del cinema abbiamo avuto immagini di Napoli fortemente evocative di epoche diverse. Ne cito solo tre dalla mia cineteca personale: quella del disastro urbanistico e del conflitto politico di Le mani sulla città (1963) di Francesco Rosi, quella sottoproletaria, torbida e periferica di Le occasioni di Rosa (1981) di Salvatore Piscicelli, quella intellettuale, ostile e queste immagini innovative di Napoli formalizzate nei film di Rosi, Piscicelli e Martone hanno creato un immaginario che prima non c’era, preso da realtà che non rappresentate proliferavano però da tempo e avevano già cambiato nel profondo la struttura dei comportamenti sociali, culturali e politici degli anni in cui quel cinema arrivava al grande pubblico. Pensare oggi che anche la Napoli velata di Ozpetek sia qualcosa che ci riguarda, un mondo nuovo sotto gli occhi di tutti e finalmente scoperto, appare perciò una forzatura, a meno che non volgiamo lo sguardo su qualcosa di completamente diverso, che non riguarda il cinema e neanche la politica in quanto linguaggi creativi. A condizione cioè che ci arrendiamo a quel nuovo dispositivo di pensiero che, nell’epoca della fine delle ideologie, e dunque di ogni criterio per l’analisi del vero, del giusto e del bello, sembra abbia preso il sopravvento su ogni altro discorso culturale. Se accettiamo, per dirla al modo di Foucault, un vero e proprio cambio di paradigma, che magari è solo una perversione, qualcosa di nuovo possiamo allora intravedere. Chiamiamola estetica turistica: ecco ciò che pervade dalla prima all’ultima inquadratura il film di Ozpetek. L’idea di un mondo di forme senza tempo che si accumulano contraddittoriamente una accanto all’altra come su una bancarella dell’immaginario, dove chiunque può attingere sensazioni a buon mercato da portare a casa e mettere in bacheca, è la versione tardomoderna, edulcorata e immunizzata, del conflitto tra Logos e Caos o, per meglio dire, tra apollineo e dionisiaco, di cui ha scritto il regista nel suo intervento di domenica sulle colonne di questo giornale. L’estetica turistica prevede che ci sia molto movimento, tutto un flusso di persone che circolano passando sempre ai botteghini, alla ricerca di emozioni ragionevoli, senza pericolo ma abbastanza forti da restare nella mente. Turisti non sono soltanto gli spettatori o i visitatori, ma anche gli autori, gli artisti che amano girare tra forme e linguaggi che vagano nel tempo, giocando sulle connessioni e le sconnessioni, creando confronti e contrapposizioni di maniera. In questo senso e in questa città, ora come ora, il dibattito politico-culturale sul film di Ozpetek può finanche assumere un qualche significato comprensibile. Se Napoli è diventata una città turistica, sarà un bene forse per l’economia. Che siano diventati turisti anche gli intellettuali, i politici e gli imprenditori, tutti presi a discutere del nulla, arrampicandosi su improbabili macchine da festa, serie televisive più o meno riuscite, film inconcludenti, spettacoli e mostre di second’ordine, è un fatto preoccupante. Napoli velata, cieca, prigioniera delle sue solite storie e leggende. Napoli senza futuro e senza un pensiero moderno. Sembra proprio la Napoli di oggi.