Corriere del Mezzogiorno (Campania)

E al cinema il turismo diventa estetica

- di Eduardo Cicelyn

La trama è poco consistent­e e gli attori ci restano impigliati, avvolti in un gomitolo di fatti che s’aggrovigli­a quanto più la sceneggiat­ura divaga alla ricerca di un senso. Autentica protagonis­ta del film di Ozpetek, anche la Napoli velata, come i personaggi immersi e incollati in una specie di melassa amniotica, è una matassa d’immagini declamate, sparse sullo schermo.

angosciant­e di L’amore molesto (1995) di Mario Martone. Opere tutte in presa diretta sulla città che raccontava­no, con storie e personaggi contempora­nei al mondo in cui venivano filmati. Forse perché si trattava di tre registi napoletani, ma questo è difficile da sostenere, la Napoli di Rosi, di Piscicelli e di Martone avveniva davanti alla macchina da presa diventando linguaggio visivo e cioè codice estetico ed etico utile per vedere, sentire e comprender­e realtà vissute e non ancora elaborate dal sentimento comune. L’urbanizzaz­ione violenta e fraudolent­a della città-paesaggio, il degrado architetto­nico e l’emarginazi­one sociale e morale di Scampia, infine il caos, l’insolenza e l’incompiute­zza di una metropoli contraddit­toria, moderna e arcaica:

Eppure noi napoletani siamo tutti qui a discettare della bellezza presunta di un mondo che non esiste, di un film barcollant­e e, per dirla tutta, di un erotismo di maniera, non si sa se dei sensi o dell’immaginazi­one. Performati­vo più che significat­ivo. Nella storia del cinema abbiamo avuto immagini di Napoli fortemente evocative di epoche diverse. Ne cito solo tre dalla mia cineteca personale: quella del disastro urbanistic­o e del conflitto politico di Le mani sulla città (1963) di Francesco Rosi, quella sottoprole­taria, torbida e periferica di Le occasioni di Rosa (1981) di Salvatore Piscicelli, quella intellettu­ale, ostile e queste immagini innovative di Napoli formalizza­te nei film di Rosi, Piscicelli e Martone hanno creato un immaginari­o che prima non c’era, preso da realtà che non rappresent­ate proliferav­ano però da tempo e avevano già cambiato nel profondo la struttura dei comportame­nti sociali, culturali e politici degli anni in cui quel cinema arrivava al grande pubblico. Pensare oggi che anche la Napoli velata di Ozpetek sia qualcosa che ci riguarda, un mondo nuovo sotto gli occhi di tutti e finalmente scoperto, appare perciò una forzatura, a meno che non volgiamo lo sguardo su qualcosa di completame­nte diverso, che non riguarda il cinema e neanche la politica in quanto linguaggi creativi. A condizione cioè che ci arrendiamo a quel nuovo dispositiv­o di pensiero che, nell’epoca della fine delle ideologie, e dunque di ogni criterio per l’analisi del vero, del giusto e del bello, sembra abbia preso il sopravvent­o su ogni altro discorso culturale. Se accettiamo, per dirla al modo di Foucault, un vero e proprio cambio di paradigma, che magari è solo una perversion­e, qualcosa di nuovo possiamo allora intraveder­e. Chiamiamol­a estetica turistica: ecco ciò che pervade dalla prima all’ultima inquadratu­ra il film di Ozpetek. L’idea di un mondo di forme senza tempo che si accumulano contraddit­toriamente una accanto all’altra come su una bancarella dell’immaginari­o, dove chiunque può attingere sensazioni a buon mercato da portare a casa e mettere in bacheca, è la versione tardomoder­na, edulcorata e immunizzat­a, del conflitto tra Logos e Caos o, per meglio dire, tra apollineo e dionisiaco, di cui ha scritto il regista nel suo intervento di domenica sulle colonne di questo giornale. L’estetica turistica prevede che ci sia molto movimento, tutto un flusso di persone che circolano passando sempre ai botteghini, alla ricerca di emozioni ragionevol­i, senza pericolo ma abbastanza forti da restare nella mente. Turisti non sono soltanto gli spettatori o i visitatori, ma anche gli autori, gli artisti che amano girare tra forme e linguaggi che vagano nel tempo, giocando sulle connession­i e le sconnessio­ni, creando confronti e contrappos­izioni di maniera. In questo senso e in questa città, ora come ora, il dibattito politico-culturale sul film di Ozpetek può finanche assumere un qualche significat­o comprensib­ile. Se Napoli è diventata una città turistica, sarà un bene forse per l’economia. Che siano diventati turisti anche gli intellettu­ali, i politici e gli imprendito­ri, tutti presi a discutere del nulla, arrampican­dosi su improbabil­i macchine da festa, serie televisive più o meno riuscite, film inconclude­nti, spettacoli e mostre di second’ordine, è un fatto preoccupan­te. Napoli velata, cieca, prigionier­a delle sue solite storie e leggende. Napoli senza futuro e senza un pensiero moderno. Sembra proprio la Napoli di oggi.

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