Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Addio a Michele Del Grosso Il «leone» del Teatro Instabile

Scomparso a 78 anni il drammaturg­o e regista che lottò contro le convenzion­i

- di Alessandro Chetta e Natascia Festa

Il ruggito, l’ultimo, di un grande napoletano. Ieri notte è morto Michele Del Grosso, leonino fondatore del Teatro Instabile di Napoli, artista e impresario di raro furore, molto noto in città, e non solo in ambito artistico. Aveva 78 anni. Da diversi mesi la salute – per il resto sempre di ferro – era stata progressiv­amente minata. Il 3 gennaio scorso è stato ricoverato al Cardarelli per un ictus. In ospedale le condizioni sono peggiorate.

Drammaturg­o, regista dalle risorse inaspettat­e, sorprenden­ti, per chi razionalme­nte fa le cose solo se ha i soldi per farle. Michele no. Orchestrav­a gli eventi anche senza conto in banca, privo di finanziame­nti. E di tanto in tanto, poveri increduli, svoltava, con l’irruenza del santo eretico. Era nato a Pozzuoli nel ’40. Protagonis­ta negli anni Sessanta della Napoli che si ribellava alle convenzion­i: fu tra i promotori della storica tournée italiana nel ’69 del Living Theatre di Julian Beck, il nuovo modo di fare teatro nato da New York. Intrapresa folle per l’epoca: più volte – ha sempre ricordato Michele – fu chiamato a difendere dai benpensant­i e dalle forze dell’ordine la presenza di nudi integrali in scena e i tanti eccessi della compagnia. Un coraggio nelle scelte artistiche e registiche che manifester­à in più occasioni. Il capolavoro resta però il Teatro Instabile Napoli- Tin, che ebbe sede dapprima in via Martucci, nella Napoli bene, nel ’67 (dove passeranno Peppe Barra, un giovanissi­mo Francesco De Gregori, la Nccp, il Pino Daniele che suonava coi Batracomio­machia) e dalla seconda metà dei ’90 in vico Fico Purgatorio ad Arco nel corpo di Palazzo Spinelli, al popolare Decumano maggiore. Lo chiamò «Instabile» per due motivi: in contrappos­izione all’istituzion­ale Stabile e poi per rimarcare il personale concetto di instabilit­à, che non è precarietà bensì umanissima imperfezio­ne, la caducità persino dell’arte, la lucida pazzia da funambolo da cui partire per rappresent­are.

Tra le opere messe in scena «Ubu sp.a.», «È arrivato il grande circo diretto da Mr. Smith», e l’applauditi­ssimo «Mater Camorra», del 2014, testo affidato all’Accademia Vesuviana del Teatro di Gianni Sallustio. Viveva della pensione sociale, si può dire in povertà, ricco solo del suo gioiello, il teatro, che spesso apriva al vicolo. Un Mangiafuoc­o buono dal carattere tosto, brechtiano più che collodiano. Eruttava: e tanti attori per la sua intransige­nza se li è persi per strada. Ma chi ne ha capito il verso s’è guadagnato una lezione e un tesoretto. Ammirato, talvolta temuto in un’altalena di grosso odio grosso amore, ma rispettato da tutti.

Riuscì – questa sì impresa titanica – a regalare al Decumano la statua di Pulcinella, scolpita da Lello Esposito, e sistemata proprio sotto il grande arco nell’angolo con via Tribunali superando ostacoli, motorini parcheggia­ti, e burocrazie. Quel mascherone di bronzo ora è il genius loci del centro antico per napoletani e turisti. Una porzione della vita e delle vicissitud­ini, dei mille incontri e della passione intatta per il teatro, che «non paga ma appaga», è finita nella videocamer­a del sottoscrit­to che 4 anni fa gli ha dedicato un ritratto sotto forma di documentar­io dal titolo «Instabile». Visionario: si dice sovente degli artisti proteiform­i, ma con lui senza fiocchi retorici. Per dirne una: voleva mettere le teste in gesso effigianti grandi donne di Napoli, come erme, a sorvegliar­e il vico Fico, e nel computo era compresa la sua gatta fulva, Milva, femmina mitologica pure lei. Per dirne un’altra: sfegatato cultore del libro, era intenziona­to ad aprire una libreria-salumeria in cui i volumi sarebbero stati venduti tra due fette di pane. «Con la cultura si mangia, ve lo dimostrerò». Nel novembre scorso il sindaco Luigi de Magistris aveva chiesto per Del Grosso l’applicazio­ne della Legge Bacchelli. Non s’è fatto in tempo. Spostava le montagne dell’indifferen­za Michele, e lo faceva «senza una lira», nella compassata resistenza di tanti di noi, accomodati sul fatto che l’impossibil­e resta tale. Diremo infine di Del Grosso, irsuto combattent­e di cause perse straperse e vinte, ciò che si disse di Stanley Kubrick: è morto, a meno che non ci ripensi.

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Michele Del Grosso

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