Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il mondo degli oggetti tra design ed economia
Èuna lettura scandita da una narrazione figlia di più codici quella che racconta l’esistenza attraverso gli oggetti e le loro forme. Siamo circondati, anzi invasi da cose che ci occorrono per sopravvivere mentre continuiamo a desiderarne altre, accumulando «quell’essenziale superfluo del vivere e morire contemporaneo».
Esiste un comun denominatore tra design ed economia? Tra l’arte di dare forma agli oggetti e l’arte di fare affari con gli oggetti? Se lo chiedono gli autori di Design vs Economia, libro editato da Franco Angeli, in cui due accademici si sfidano sul terreno delle competenze ma anche delle visioni con un linguaggio che non si concede mai alla tentazione di banali semplificazioni di genere. L’uno, Paolo Ricci, è professore di Economia aziendale e presidente del Gruppo di Studio per la ricerca scientifica sul Bilancio Sociale oltre che presidente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli mentre l’altro, Francesco Trabucco, vincitore del prestigioso Compasso d’Oro, insegna Disegno industriale e i suoi progetti fanno parte di collezioni permanenti di musei come il Moma di New York. Trabucco e Ricci, con una prosa di trascinante chiarezza, provano a giocare con le definizioni che rendono necessaria l’uscita dalla comfort zone del proprio ambito di appartenenza: l’economista parte dal termine «gestione» per imporre ritmo alla conversazione mentre il creativo è sospettoso, crede «che la bulimia definitoria» non sia fatta per una disciplina giovane come la sua. Tra ponteggi mobili che fanno oscillare il ragionamento tra materiale ed immateriale scorrono versi di Beckett (Ricci cita Giorni felici: «C’è così poco di cui si possa parlare. Che si dice tutto. Tutto quel che si può. E non c’è mai qualcosa di vero») e l’evocazione di Filarete («l’architetto è mamma, essendo il padre il committente delle opere», ricorda Trabucco), i profili dei fashion addicted e i nuovi paradigmi di una società sempre più contraddittoria, che crede che «il femminile risulti più adatto a comprendere i grandi cambiamenti, figli delle nuove tecnologie e della liquidità delle strutture relazionali». Il design ci fa «liberi prigionieri» perché desideriamo e sogniamo continuamente.
L’economia ci renderci «prigionieri liberi» perché gli oggetti si appropriano della nostra esistenza. Entrambi i mondi definiscono un luogo liquido in cui le cose sono sostituite da palinsesti «che si aggiornano quotidianamente». Anche se, come ci ricordano alla fine del libro gli autori, il vero lusso è «essere umani e ospitali verso gli sconosciuti a cui non chiedere neppure il nome».