Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il sogno rivoluzionario? A Napoli nacque così
Gargano: il movimento qui da noi ebbe un forte impianto teorico A maggio una mostra alla Biblioteca Nazionale e una serie di incontri
Non tutti sanno che il serio e pensoso Antonio Gargano, per anni segretario generale dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e oggi docente di Storia della filosofia al Suor Orsola Benincasa, fu una delle anime del Sessantotto napoletano.
All’epoca aveva 21 anni e studiava filosofia alla Federico II. Il «suo» Sessantotto (e più in generale quello napoletano) non è stato però un movimento anarchicamente libertario e sfrenato. Ha avuto invece un forte impianto teorico, «che lo ha distinto», chiarisce subito Gargano, «da altri focolai, come quelli di Torino, Trento e Pisa».
Partiamo dall’inizio, professore. A Napoli come cominciò?
«Come dappertutto, i fermenti del Sessantotto erano già iniziati nel ‘66 con il celebre caso di censura del giornalino La Zanzara al Liceo Parini di Milano. Poi con la morte di Paolo Rossi si arrivò ai primi scontri nella cittadella universitaria di Roma».
Cosa intende per «impronta teorica» del Sessantotto napoletano?
«Il movimento napoletano aveva radici molto profonde. Il suo impianto teorico si basava sul principio leninista che non c’è partito rivoluzionario senza teoria rivoluzionaria. Il nucleo dirigente fu quello della sinistra universitaria che aveva come sua eredità una parte delle elaborazioni del Gruppo Gramsci formato negli anni Cinquanta da Guido Piegari, Gerardo Marotta, Ugo Feliziani, Ennio Galzenati».
Cosa avevano fatto i componenti del Gruppo Gramsci?
«Erano usciti dal Pci e avevano sviluppato un enorme lavoro teorico. L’idea da cui partivano era questa: ci sono state una guerra mondiale, una guerra civile e la fine della dittatura. Ma l’emancipazione umana non si è completata. Uno dei motivi: la carenza teorica. Il marxismo è stato uno strumento inadeguato. Allora c’è bisogno dell’apporto di filosofia e scienza (concezione che poi Marotta travasò nel suo Istituto). Del resto dietro Marx c’è Hegel; il Gruppo Gramsci
risaliva anche a Croce e Bordiga. Ecco, può sembrare strano, ma dietro il Sessantotto a Napoli c’è stato anche questo: l’attitudine di alcuni giovani a ragionare con la propria testa e a considerare il marxismo un ramo dell’hegelismo e quindi a risalire più indietro».
Tracciamo una sorta di mappa dei protagonisti dell’epoca? Lei con chi stava?
«Io ero un membro della Sinistra Universitaria a Lettere e Filosofia. Su posizioni bordighiste c’era Gianfranco Borrelli (con lui e con Vittorio Dini stiamo lavorando a una serie di iniziative di ricordo). Dini era anche lui nella sinistra universitaria, poi si avvicinò ai gruppi della facoltà di Architettura, altro polo di agitazione a Napoli, dove spiccava Paride Caputi, scomparso qualche settimana fa. Ma ricordiamo anche il Padiglione 19 della Mostra d’Oltremare, sede dell’Istituto di Fisica, dove insegnava il grande scienziato Eduardo Caianiello. Molti suoi allievi avevano una profonda cultura umanistica, ricordiamo Galzenati, Emilio Del Giudice, Renato Musto, Roberto Pettorino e Francesco Del Franco. Erano il cervello pensante e geniale del Sessantotto napoletano, le loro intuizioni erano di altissimo livello scientifico e politico. Ancora, c’era l’ala cattolica con Franco La Saponara, Pasquale Colella, Sandro Filia, Tonino Drago e Andrea Iasiello».
E negli altri campi?
Radici Dietro la nostra protesta c’è stato anche questo: l’attitudine di alcuni giovani a ragionare con la propria testa
Rivolte A cinquant’anni non è stato fatto ancora un bilancio, eppure nel movimento si ritrovò la migliore gioventù della città, come nel 1799
«Naturalmente c’è stata una dimensione ludico teatrale artistica molto vivace, che sarà rievocata in una mostra in programma alla Biblioteca Nazionale il primo maggio, di cui si stanno occupando tra gli altri i bibliotecari Antonia Cennamo e Luigi D’Amato. Poi ci furono le lotte sul fronte della psichiatria, con Sergio Piro. Le lotte in difesa dei baraccati con Michele D’Ambrosio, poi diventato deputato del Pci, e quelle contro la costruzione del Nuovo Policlinico».
Questi gli aspetti di lotta pratica. E sul piano teorico al quale lei faceva riferimento?
«Ci furono polemiche contro altri movimenti studenteschi, in particolare contro le tesi di Trento che invitavano a squinternare i libri. Noi punta-
vamo sull’emancipazione globale e non solo su quella degli studenti e degli operai. Tutto questo in un’atmosfera di grande fervore e con collegamenti con l’estero, dalla Columbia di New York al maggio francese. Discutevamo in un dialogo a distanza con tutte queste esperienze. Dopo l’autunno e i fatti di Praga, ci ponemmo su posizioni critiche verso l’Unione Sovietica. E mentre pullulavano gruppi filocinesi (in cui era leader Sergio Manes), noi prendemmo posizione contro. Questa lucidità teorica fece sì che dopo piazza Fontana riuscissimo a capire che non c’era più spazio per un movimento studentesco, mentre altri si intestardivano».
Di tutto questo si parlerà nei prossimi mesi a Napoli?
«Cercheremo di fare seminari di chiarificazione all’Istituto italiano per gli studi filosofici. Poi stiamo cercando di mettere assieme dei testi del movimento studentesco napoletano che ha patito la provincialità della sua situazione, non avendo a disposizione i mezzi di un’industria culturale né megafoni giornalistici».
La città che atteggiamento ebbe?
«Ci fu un momento in cui il Pci si sentì sotto pressione, ma fu un attimo e poi tutto si richiuse. A cinquant’anni non è stato fatto ancora un bilancio oggettivo, eppure nel movimento studentesco si ritrovò la migliore gioventù di Napoli, un po’ come nella Rivoluzione del 1799. Oggi comunque è sempre più evidente che il movimento per l’emancipazione, con la sua spinta rivoluzionaria, si è intrecciato con la diffusione del capitalismo consumistico. La diffusione della cultura giovanile di massa ha aperto una nuova fase del capitalismo e si è diffuso l’equivoco che il consumo di massa richieda la spregiudicatezza e la mancanza di valori che sarebbero frutto del Sessantotto. Mentre invece si tratta di un equivoco tutto da chiarire».