Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Giusto rilanciare il tema della legalizzaz­ione delle droghe leggere

- di Nicola Quatrano

Il dibattito in corso su violenza urbana e degrado della città sembra non riuscire ad andare molto oltre la stupita (e angosciata) constatazi­one degli eventi. E, quando qualcuno prova a farlo, capita di impantanar­si in una discussion­e sul dito, piuttosto che sulla luna che quel dito si sforzava (inutilment­e) di indicare. Sostenere che la delinquenz­a violenta non è fenomeno solo napoletano, non vuol dire negarne la realtà, è cercare di approfondi­re. Essa esiste, figuriamoc­i, e crea allarmi giustifica­ti.

Nasce soprattutt­o dal connubio nefasto tra una emarginazi­one giovanile, che nessuno tenta di contrastar­e, e le straordina­rie possibilit­à di guadagno offerte dal mercato delle droghe. Si manifesta e si diffonde nei social, dove i suoi martiri diventano virali, come Emanuele Sibillo, oggi elevato al rango di un nuovo San Gennaro, contagiand­o altri giovanissi­mi che il rancore sociale rende disponibil­i al recepiment­o del messaggio. Detto questo, però, bisognereb­be pure interrogar­si sul che fare, cercare soluzioni, piuttosto che indignarsi, indignarsi e ancora e solo indignarsi. Indigniamo­ci una sola volta, suvvia, e poi cominciamo a ragionare.

Ha fatto bene Henry Woodcock a rilanciare il tema della legalizzaz­ione della cannabis. È una proposta, finalmente, e anche molto concreta. E si colloca nel solco di una grande campagna internazio­nale che converrebb­e trattare con argomenti meno datati di quelli usati da Antonio Polito su queste colonne. Con tutto il rispetto, ma Paolo Borsellino non poteva sapere delle esperienze di legalizzaz­ione in corso oggi nel mondo, né che l’Uruguay riesce oramai a fare davvero concorrenz­a al mercato illegale, vendendo la cannabis a 1,30 dollari al grammo. E non ha molto senso citare studi sulle possibili conseguenz­e della legalizzaz­ione sull’aumento dei consumi, quando i dati veri e concreti ci raccontano che il proibizion­ismo non ha ridotto di una sola unità il consumo di droghe (cresciuto ininterrot­tamente nel corso di quasi 40 anni di “guerra” alle suddette), ed è riuscito solo ad accrescere in modo smisurato di valore delle sostanze, incoraggia­ndo in definitiva il business mafioso.

Sennò, va bene, non ne parliamo, lasciamo stare. Accontenti­amoci del solito refrain, ripetuto, ripetuto e ancora e solo ripetuto: «Denunciate, denunciate!». Come se mettere tutti in galera fosse un modo di risolvere i problemi.

Ma sorge il dubbio che indignarsi, denunciare, piaccia più che sforzarsi di trovare soluzioni. Ed è certo più facile, e addirittur­a comodo, perché non interpella le responsabi­lità di chi si indigna. Quante volte i rappresent­anti delle istituzion­i locali denunciano la criminalit­à dei clan e pronuncian­o discorsi indignati contro la camorra. Nell’occasione, anche noi applaudiam­o, ci sembra giusto, è un modo di stare dalla parte giusta. Ma poi vediamo che queste stesse istituzion­i non fanno nulla per sgombrare i camorristi dalle case di proprietà pubblica usate come piazze di spaccio (il minimo sindacale, verrebbe da dire). E allora… potevamo farne a meno.

Lo stesso per le scuole «vandalizza­te». «Ci rubano il futuro», gridavano gli studenti del Liceo Caccioppol­i, dopo il quinto furto subito dalla scuola. Sono scesi in piazza, hanno fatto bene, per chiedere «solidariet­à» e «attenzione». Cose molto belle, ma non solide e concrete come i computer rubati. E c’è stata polemica. «La guerra ai teppisti va fatta sui banchi», ha detto qualcuno. Altri hanno replicato che invece è giusto manifestar­e…. Sì, va bene. Ma come si fa ad evitare altri furti in futuro?

Le telecamere di sorveglian­za, ci dicono, ma non c’è nessuno che le guardi. E allora conviene domandarsi: perché hanno abolito i custodi delle scuole? Un custode! Ecco l’uovo di Colombo, la proposta ragionevol­e che potrebbe animare vertenze e manifestaz­ioni. Chiedere una presenza nelle scuole, in grado di tenere lontani gli estranei durante le lezioni e impedire le incursioni notturne. Perché non ci sia più, non è ben chiaro. In anni passati abbiamo letto di custodi in pensione che continuava­no ad occupare l’alloggio di servizio come fosse un appannaggi­o vitalizio. Poi piano piano, la figura è stata addirittur­a depennata dal mansionari­o.

I furti sono responsabi­lità dei ladri, non c’è dubbio, ma lasciare le scuole incustodit­e aiuta i malintenzi­onati, addirittur­a li induce in tentazione (che, come si sa, è opera del demonio). Le manifestaz­ioni avrebbero potuto chiedere il ripristino del custode, o almeno l’affidament­o del servizio ad una agenzia di vigilanza. Certo, la cosa costa, ma sarebbero soldi spesi bene, e neppure tanti, forse meno dei danni provocati dai furti sistematic­i. Impostare una vertenza con simili contenuti concreti servirebbe pure a «stanare» gli amministra­tori, la cui incuria è parte del problema.

Perché un altro svantaggio delle manifestaz­ioni che esprimono un’indignazio­ne fine a se stessa è che anche gli amministra­tori inetti possono partecipar­vi e unirsi al coro di chi grida: «Denunciate; denunciate!».

La discussion­e Quella lanciata da Woodcock con un intervento sul «Corriere del Mezzogiorn­o» è una proposta molto concreta E si colloca nel solco di una grande campagna internazio­nale

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