Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’ALABAMA DI NOI NERI A METÀ
Non finiremo mai di ringraziare abbastanza l’avvocato Attilio Fontana, candidato per la Lega alla presidenza regionale della Lombardia, per aver portato un’ondata di sano divertimento e di genuina allegria in questi piatti, tristi giorni di inizio di campagna elettorale. Giorni malinconici, fatti di offerte speciali, ricchi premi e saldi di fine stagione proposti da supposti leader politici, chi promette eliminazioni di canoni, chi di tasse, chi di imposte; e di aggregazioni posticce e fasulle, attaccate con lo sputo pur di vincere, tanto a governare poi si pensa, qualcosa ci si inventerà. E di fronte al doloroso futuro che ci aspetta, a dissipare il pessimismo e la sfiducia, ecco per fortuna questo simpatico, intelligentissimo comico che approfittando dell’obiettiva e serena platea di Radio Padania si produce in una battuta che, superato l’attimo di legittima incredulità, ci fa aprire il cuore in una grassa, sonora risata. Bravo Fontana, uomo dallo spirito geniale. Peccato che lei non abbia avuto la forza ideologica di rivendicare la profonda paternità della fulminante boutade, tentando di rifugiarsi goffamente nella solita giustificazione a posteriori del lapsus: ma grazie al cielo il dottor Freud le viene in soccorso, e dissipa ogni dubbio su ciò che lei, Fontana, pensa davvero.
Una volta asciugateci le lacrime di allegria, e congratulatici per una volta con noi stessi di non essere cittadini della bella e grande Lombardia e di non correre, quindi, il concreto rischio di essere governati dall’avvocato Fontana o da uno della sua stessa parrocchia, ci viene voglia di fare qualche riflessione in più sul concetto di difesa della razza bianca, come recita la sesquipedale intuizione del suddetto Fontana, ignaro del fatto che da almeno tre decenni la mappatura del genoma ha chiarito che le razze non esistono. Sì, perché se equipariamo la nostra piccola Italia all’Alabama degli anni Cinquanta, come emerge chiaramente dalla ritrattata ma genuina frase dell’esponente politico, allora noi meridionali, e per di più napoletani, di che razza saremmo?
In effetti ben prima dei pochi disgraziati che si rifugiano in Europa per sfuggire a guerre, fame e miseria dalle coste africane siamo stati noi a invadere il nord, con un fenomeno migratorio di ben più lunga e consistente entità. E vi ci siamo insediati, nonostante quelli di razza bianca avessero tentato di alzare qualche baluardo inalberando cartelli come «non si affitta a meridionali». Tuttora tracce di quella solida, difensiva ideologia si reperiscono in cori da stadio, titoli di giornali e trasmissioni televisive, a testimoniare che qualche intima convinzione in tal senso è effettivamente sopravvissuta.
Noi stessi siamo evidentemente e clamorosamente meticci. Dominati da chiunque, nel corso dei secoli, non ci siamo mai difesi: mai una guerra d’assedio, mai mura o fossati. Contrariamente a tutte le altre regioni, la nostra cucina mutua ingredienti e mescolanze di tutto il mondo. L’architettura della città conserva tracce di arabi, spagnoli, francesi e inglesi. La lingua è un melting pot che al greco, al latino, al francese e allo spagnolo aggrega termini orientali, africani, turchi. Fisicamente non siamo identificabili, curte e nire ma anche alti e biondi, secondo il soldato di passaggio che ha inteso inserire il proprio seme negli alberi genealogici. Per non parlare della musica, del senso del ritmo e delle sonorità: guardando solo al contemporaneo, le frontiere hip hop del paese sono tutte da queste parti, e quei meravigliosi geni di Enzo Avitabile, Enzo Gragnaniello, James Senese metabolizzano con fantastici risultati musiche di ogni colore
Paragoni Se equipariamo la nostra Italia al Paese degli Usa degli anni Cinquanta allora noi meridionali, e per di più napoletani, a quale razza apparterremmo?
per produrre poi le proprie straordinarie melodie. L’ultimo nostro grande menestrello orgogliosamente si definiva, e indirettamente definiva noi che siamo il suo popolo, nero a metà. Solo che di metà ne abbiamo tantissime, e di ogni colore.
Noi, nell’Alabama degli anni Cinquanta, saremmo stati probabilmente niggers, e i figli di Fontana avrebbero tentato una difesa della razza promulgando leggi e ordinanze tese a dividere autobus e cinema per evitare eccessive, letali promiscuità. Ma non siamo nell’Alabama degli anni Cinquanta, e vediamo tutti che il fenomeno migratorio non mette in pericolo l’Italia perché il nostro paese è poco appetibile anche per i disgraziati che arrivano qui e per la stragrande maggioranza se ne vanno altrove; e quelli che rimangono fanno lavori miseri che nessuno «di razza bianca» sarebbe disposto a fare. E per fortuna per la maggior parte chiedono e ottengono permessi regolari di soggiorno, aspirano (!) a pagare le tasse, fanno i figli che noi non facciamo e per l’incapacità legislativa di una classe politica inadeguata devono aspettare che i suddetti figli compiano diciotto anni per guadagnare una cittadinanza che per noi, qui nell’Alabama degli anni Cinquanta, è spesso un peso intollerabile.
Grazie, avvocato Fontana, per averci indotto qualche allegra riflessione in questi tristi giorni. Ma ora ci scuserà se torniamo a occuparci di cose serie.