Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Che brutta pagina il «manifesto» firmato (anche) da Denevue

- di Luisa Cavaliere

ANapoli e in Campania non ha avuto grande eco la polemica innescata dal documento francese firmato anche da Catherine Deneuve contro il presunto bigottismo del movimento MeToo. Eppure un confronto su quel segmento universale del

Male che è la violenza contro le donne sarebbe utile anche da noi che non siamo immuni e, come potremmo?, da quel fenomeno. L’azione di MeToo e i vestiti neri indossati dalle protagonis­te del Golden Globe hanno mostrato innanzitut­to la forza di una relazione che tiene unite le protagonis­te di un mondo.

Quello di Hollywood, che sembra non prevedere «l’amicizia» fra donne. Ma, quei vestiti neri e quella alleanza parlano anche del retroscena che alimenta le luci (false e bugiarde) di quel palcosceni­co. Nominano la violenza sessuale che lì si consuma in differenti sfumature. Mostrano al mondo non più la patina ipocrita di quel tempio americano ma la volontà delle donne che lo abitano di non essere più docili e inanimati strumenti di un potere che non le prevede. Che non prevede la loro libertà.

La forza di quegli abiti proprio perché si muove sul registro simbolico, sulle rappresent­azioni che guidano e generano le nostre concezioni del mondo, è radicalmen­te destabiliz­zante. Una tappa plateale di un processo di liberazion­e che (purtroppo) non si consumerà in una stagione e che ad Hollywood ha vissuto una bella giornata. L’efficacia radicale di quei vestiti e la responsabi­lità che quel gesto assegna a tutte noi, emerge dalla reazione francese. Una reazione che è segno della paura antica di perdere «i favori» del «principe».

Una paura che si annida, perversa, dietro ogni minaccia di abbandono, dietro ogni altrimenti incomprens­ibile perdono. Quasi come se da sole si perdesse non un uomo ma il significat­o stesso della propria vita. Nel ragionamen­to francese si annida un’insidia che può essere svelata e usata come terreno di confronto: la confusione fra violenza e seduzione. Fra prevaricaz­ione e gioco consapevol­e. Fra le diverse forme di negazione dell’altra e il desiderio di avere il privilegio di essere scelti. Fra il gioire di una presenza e l’incapacità di fronteggia­re una sottrazion­e che è causa prima della violenza anche nelle sue forme più estreme.

Sono temi che il femminismo napoletano ha nel passato affrontato confrontan­dosi con altre esperienze e proponendo pensieri e pratiche originali perché ancorati nel contesto che li generava. Sono temi sui quali la nefasta pratica della parità ha avuto spesso il sopravvent­o negando quella differenza fra donne e uomini che caratteriz­za l’umano e che è l’unico orizzonte che possa dare una risposta «politica» efficace allo stesso tema della violenza di genere. L’unica che va all’origine del problema e mostra che non c’è un assoluto (maschile) al quale uniformars­i per poter accedere per esempio, alla parola pubblica ma c’è, invece una convivenza fra differenti che va definita e per la quale vanno scritti paradigmi, linguaggi e regole. L’aggression­e in un ristorante ai danni del produttore – stupratore ad opera di un «giustizier­e» è il segno di quanto insidiosa sia questa storia ,di quanto quei vestiti neri vadano difesi e sostenuti e di quanto vada ampliato il loro dirompente significat­o che parla agli uomini come alle donne. Un gesto coraggioso compiuto su una strada piena di ostacoli pericolosi come certamente lo è stato il documento francese e le successive, non brillanti, prese di distanza di alcune firmatarie. Bastava un poco di buon senso per sapere quanto seduzione e violenza siano distanti e il non averlo capito dà il senso di una complicità che somiglia molto alla stupidità.

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