Corriere del Mezzogiorno (Campania)
TRA IMPUNITÀ E CRISI EDUCATIVA
Quando uno che non è nato a Napoli, ma la ama, pensa alla capitale dell’Italia mediterranea, pensa a un misto di dolcezza e violenza. La stessa parlata napoletana — sia l’accento sia il dialetto — ora blandisce il forestiero con soavità provocanti, ora lo aggredisce con asperità provocatorie. In mezzo ovviamente c’è un tono medio, che è quello della vita quotidiana. Contraddetto da quelle contraddizioni che non sono estranee all’anima napoletana e quindi a quella italiana (essendo Napoli, dalla musica al teatro, dal cinema alla gastronomia e financo all’oleografia, la vera capitale culturale del Paese). L’aggressività delle bande di ragazzini è una di queste asperità. Le baby-gang, come le chiamano, non sono certo nate adesso. Negli anni ‘70 ad esempio ce n’erano molte a Torino, un giorno dovetti fuggire a gambe levate da una di loro che mi aggredì in via Madama Cristina, San Salvario, non per rubarmi orologi o soldi che peraltro non possedevo, ma per il gusto di farlo, di intimorire un coetaneo, di rivendicare il controllo del territorio. Le cause possono essere molte. Rispetto a quarant’anni fa, un giovane bullo può avere nuove motivazioni. Ad esempio filmare con il telefonino il suo gesto e renderlo pubblico. Oppure la suggestione di emulare i divi di Gomorra, un’operazione che avendo al centro non la denuncia ma la fascinazione della camorra mi è apparsa fin dall’inizio nefasta per la città di Napoli, com’è ora chiaro un po’ a tutti.
Le cause principali però sono altre. Penso che a rendere possibili le continue aggressioni concorrano sia il senso di impunità, sia la crisi educativa. Un minorenne rischia poco, un tredicenne nulla; e questo ha il suo peso. Ma ha un peso forse ancora superiore il vuoto di molte famiglie e di molte scuole. Noi adulti siamo incapaci di trasmettere non soltanto i valori, ma neppure le passioni, gli entusiasmi, gli interessi. Non so se l’Italia della ricostruzione e del boom economico fosse animata dai valori. Credo che fosse anche allora un Paese individualista e familista. Ma era percorsa da un’energia, una fiducia nel futuro, un orgoglio di sé che all’evidenza abbiamo perduto con il passare delle generazioni. Per questo non siamo riusciti a trasmetterlo ai nostri ragazzi.
Se la misura di te stesso è il tatuaggio, il musco- lo, la paura che riesci a incutere ai tuoi simili, allora non dobbiamo stupirci che la vita a Napoli – e non solo – possa essere così violenta. Oltre che, a volte, così dolce.
Lavorare per formare una generazione seria che non perda la tenerezza è un obiettivo talmente ambizioso che vale la pena di provarci. Siccome noi italiani ci assomigliamo tra noi più di quel che pensiamo, il discorso vale per tutte le altre città. Si sa però che a Napoli il vizio e la virtù di noi italiani si manifesta sempre all’ennesima potenza. Per questo la vostra città ha una responsabilità particolare anche nei confronti del resto del Paese.
I fattori di rischio Un minorenne rischia poco, un tredicenne nulla; e questo ha il suo peso Ma pesa anche il vuoto di molte famiglie