Corriere del Mezzogiorno (Campania)
L’ «IRREQUIETEZZA» ELETTORALE MAI HA GIOVATO ALL’ITALIA E AL SUD
Isondaggi
pre-elettorali sono questa volta abbastanza concordi nel prevedere alcune linee di fondo dei risultati della consultazione del 4 marzo. Tra queste linee c’è innanzitutto quella di un persistente astensionismo elettorale, sicché permarrebbe la nota di una poca attrazione alle urne in una gran parte dell’elettorato, anche se non mancano segni che possono far credere a un notevole miglioramento della percentuale dei votanti. C’è, poi, anche una previsione diffusa che nel Mezzogiorno il risultato più probabile sia quello di una forte affermazione dei 5 Stelle e, in misura ancora maggiore, un successo della coalizione di destra capitanata da Berlusconi.
I sondaggi sono sondaggi, e valgono fino al momento in cui si aprono le urne e si contano i volti. L’esperienza ci ha, inoltre, insegnato che le smentite dei sondaggi sono innumerevoli e che non c’è mai da sorprendersi se alla fine i risultati elettorali riescono diversi o addirittura opposti a quelli previsti.
E, tuttavia, la tecnica dei sondaggi è così progredita nelle sue procedure che sarebbe sciocco non tener conto di ciò che essi dicono.
Se, perciò, per il Mezzogiorno anche ad essi bisogna guardare, qualche considerazione al riguardo può riuscire opportuna. Né bisogna andare troppo lontano nel prenderne lo spunto. Nel Mezzogiorno i mutamenti elettorali, anche i più clamorosi, sono, infatti, una vera e propria tradizione, così come lo è stata la tendenza a votare in modo del tutto difforme da quello prevalente altrove, salvo poi a passare alla parte opposta e ugualmente seguirla nel suo declino, mentre nel resto del paese tornavano altre preferenze.
Il caso più famoso rimane quello dell’ostinato voto monarchico ancora dopo venti anni di Repubblica e quando la strumentalizzazione di tale voto, nelle mani dei gruppi che lo utilizzavano a proprio profitto era diventata più che mai chiara. Ma, appunto, è tutt’altro che il solo caso. Anche negli ultimi anni le votazioni hanno dato spesso nel Mezzogiorno risultati sorprendenti (così fu, tra l’altro, a Napoli per la prima elezione del sindaco de Magistris). Ugualmente è già stato, però, più volte constatato che dalle sue virate elettorali il Mezzogiorno ha sempre ricavato pressoché nulla. La considerazione dei suoi problemi nel quadro della politica nazionale si è dimostrata regolarmente indipendente anche dai più clamorosi mutamenti di opinioni dell’elettorato meridionale. Quando, poi, questa considerazione è mutata, come che fosse, in meglio o in peggio, e del Mezzogiorno si faceva un conto maggiore, almeno nei discorsi di uomini e gruppi politici, si è sempre capito che anche questi mutamenti non dipendevano tanto dagli orientamenti dei meridio- nali alle urne quanto da circostanze generali della politica italiana (in particolare, della politica economica e fiscale), che si imponevano per l’una o per l’altra ragione nelle valutazioni degli uomini di governo.
Con ciò non vogliamo dire che per il Mezzogiorno tutti i governi, le maggioranze, i risultati delle elezioni siano fra loro uguali. Sarebbe una evidente sciocchezza. Le differenze ci sono sempre state, e si sono sempre, prima o poi, ben viste. Neppure quando mettiamo in rilievo quella che gli studiosi hanno spesso qualificato come instabilità elettorale del Mezzogiorno intendiamo dire che quella instabilità sia sempre e soltanto tale. È evidente che si riflette in essa la selva di problemi che il Mezzogiorno si porta dietro nelle sue vicende, ma che di volta in volta si prospettano diversi e in una diversa luce. L’immobilità non c’è mai nelle vicende degli uomini, e il Mezzogiorno ne è una dimostrazione. Malgrado, ad esempio, la persistenza del suo divario dal Nord del paese, il Mezzogiorno di oggi è ben più moderno, avanzato, dinamico di 30 o 50 o 70 anni fa; e le ultime statistiche ci dicono perfino che Campania e Puglia, sono tra le protagoniste della ripresa italiana in corso.
Ma se è vero che le mutevolezze elettorali del Mezzogiorno non sono ripetizioni meccaniche di una certa tendenza comportamentale, è vero pure che, malgrado ciò, l’irrequietezza elettorale del Mezzogiorno non ha mai giovato e non giova a nulla: né al Mezzogiorno stesso, né all’Italia, né alla stabilizzazione politica e sociale dell’uno e dell’altra, né alla loro affidabilità nazionale e internazionale. Anche al Nord, dove è stato ed è tutt’altro che assente, il voto di dispetto o di pura e semplice protesta ha mai fatto bene a qualcosa o a qualcuno. Se, come molti dicono, il maggiore successo previsto per la destra e i 5 Stelle nel Mezzogiorno è un classico caso di voto di dispetto o di esclusiva protesta, è da deprecare che ciò possa accadere. È vero che emozioni e passioni, sentimenti e risentimenti contino molto nelle elezioni come nella politica. Non dovrebbero però contare in modo esclusivo o dominante. Si vota come a ciascuno di noi sembra meglio, ma si sa che nelle elezioni c’è sempre in gioco qualcosa di molto importante. Questa volta vi sono in particolare il legame fra Italia ed Europa, la stabilità della politica alla quale la ripresa italiana si è appoggiata, la salvaguardia della generale credibilità del paese, il miglioramento o il peggioramento della sua classe politica. Prima di decidere il voto, un pensierino a tutto ciò bisognerebbe farlo.