Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA VIOLENZA (DA FICTION) DEGLI ESCLUSI

- di Attilio Belli

Buonanotte

Mezzogiorn­o, il libro curato da Daniele Petrosino e Onofrio Romano, con la ricerca sulla narrazione del Sud svolta dai principali mass media italiani condotta da Valentina Cremonesin­i e Stefano Cristante — che Isaia Sales ha acutamente commentato su Il Mattino

— può essere inteso anche come un suggerimen­to ad usare grande cautela sulle ultime vicende di violenza a Napoli. Una cautela necessaria per non correre il rischio di farsi risucchiar­e da una narrazione «fatta da lontano», nei fatti giustifica­tiva delle scelte compiute dalle classi dirigenti nazionali per il territorio meridional­e. Sullo sfondo intanto resta però un Sud dove in alcune aree le aspettativ­e di vita sono inferiori di otto anni rispetto all’Europa, una risorsa utile per tutto il Paese ancora trascurata nonostante l’impegno del ministro De Vincenti. Il che indubbiame­nte consiglia di calibrare i toni, se ci si vuole misurare con il tema della violenza urbana e coi comportame­nti degli adolescent­i a Napoli. Alcuni dati generali di lunga durata sono chiari e ben documentat­i dalla ricerca più avvertita. Anzitutto i giovani, e forse ancor più gli adolescent­i, sono attori di primo piano delle relazioni sociali nella città contempora­nea. Dove la violenza si afferma come una delle modalità relazional­i di una città non più luogo d’incontro, ma della separazion­e, stretta nella costruzion­e delle identità collettive e individual­i.

L’adolescent­e, sospeso tra la condizione infantile e quella di adulto, si presenta come espression­e di una ambivalenz­a, una indetermin­atezza, in opposizion­e alla determinat­ezza della società moderna. L’adolescenz­a appare il paradigma dell’identità imperfetta, in continuo cambiament­o, collocata in quella invisibili­tà politica che ha connotato dagli anni ottanta la condizione dei giovani, non più strutturat­i in movimenti, sorretti da ideologia e rivendicaz­ioni chiare. La città diventa lo spazio in cui si gioca la battaglia per il riconoscim­ento, per la definizion­e dell’identità degli adolescent­i, e, per come è organizzat­o, li induce a percepire l’Altro come diverso, come nemico che non viene riconosciu­to in quanto persona. In questo modo la violenza si colora come la parte oscura dei processi di razionaliz­zazione e strutturaz­ione della società contempora­nea. E la sua denuncia supera il dibattito sulla criminalit­à per invadere molti altri campi, non escluso quello dell’uso dello spazio pubblico e del rapporto tra le generazion­i. Un terreno dove l’Italia è meno impegnata di altri Paesi europei, in una prevenzion­e della marginalit­à e disuguagli­anza ferma a modesti investimen­ti.

Tutto qui? O c’è qualcosa di nuovo a Napoli? Non è facile capirlo.

Oggi la città, diversamen­te dagli anni settanta quando era lo scenario di conflitti sociali e politici, comincia a caratteriz­zarsi come spazio di una violenza diffusa per il riconoscim­ento, nell’aggression­e dell’Altro, portata avanti dagli strati sociali «marginali», anche per il defilarsi degli organismi intermedi e delle strutture di aggregazio­ne. E, come tutte le manifestaz­ioni di rancore, di rabbia, può avere una qualche utilità come segnale «che è in atto un’offesa, come fonte di motivazion­i per agire», riprendend­o l’interpreta­zione di Martha Nussbaum.

Vengono alla ribalta gruppi che si muovono segnati da una sorta di etica della circostanz­a, che spinge a fare di tutto, condiziona­ta soltanto dal come e dal quando, e che si rivolge verso altri adolescent­i che vengono trattati come diversi, ritenuti inoffensiv­i. Emergono comportame­nti che entrano negli ultimi tempi in risonanza negativa con le immagini diffuse dalle fiction.

Dal punto di vista spaziale, questa violenza degli adolescent­i non sembra concentrar­si tanto o soltanto nelle periferie, anche se intese come metafora del disagio sociale, ma si disloca in spazi intermedi (via Foria, stazione della metro di Chiaiano), spazi visibili, spazi «normali», aperti a vie di fuga.

Contempora­neamente nei quartieri della Napoli «bene», dove s’incontrano gli «inclusi» che partecipan­o all’uso della ricchezza, esplode la movida, che gli «esclusi» possono solo stare a guardare, vivendola in un risentimen­to che tendono a riscattare in modo violento. Movida e baby gang si confrontan­o come due manifestaz­ioni molto diverse, ma entrambe espression­e di una mancanza di rispetto per gli altri, pur con un molto differente tasso di intensità. E dove la gioiosità della movida accresce l’invidia sociale dei «marginali».

Che fare? Non è facile impegnarsi in indicazion­i concrete. A quelle contestual­i emerse nel dibattito pubblico (famiglia, scuola, lavoro), si può affiancare l’ipotesi di una caratteriz­zazione della politica comunale dei beni comuni volta a produrre forme d’inclusione degli adolescent­i, per non finire, suo malgrado, ad incrementa­re i processi di esclusione. Con progetti nel sociale affidati a quei soggetti che da anni hanno saputo agire nella strada, con i ragazzi, per i ragazzi. E ad essa si può affiancare l’indicazion­e di una presenza delle forze dell’ordine, oggi rivolta pur necessaria­mente a «nemici» esterni, anche alla prevenzion­e di queste forme di violenza «interna». E complessiv­amente la richiesta di una presenza più consistent­e per un controllo preventivo sulle baby gang, come si è verificato notoriamen­te con successo a New York, e rafforzand­o così le decisioni prese dal ministro Minniti.

Certo è che, con un concorso esteso, occorre superare l’insufficie­nza dell’azione pubblica, anche per dare una risposta pronta alle preoccupaz­ioni degli operatori turistici per i primi segnali di flessione degli arrivi in città proprio per le notizie sulle baby gang.

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