Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Un patrimonio di edifici abbandonati
Nonostante gli sforzi di questa amministrazione, a Napoli non si parla abbastanza di rigenerazione urbana. La nostra città è piena di spazi ed edifici abbandonati.
Il Comune di Napoli ha poche risorse, ma ha un patrimonio incredibile per produrre il cambiamento tanto auspicato ed invocato. Un tempo erano scuole, chiese, conventi, mercati, caserme e molto altro ancora.
La città è disseminata ormai di spazi privi di funzione, un patrimonio senza futuro. C’è stata negli anni una tale perdita di spazi produttivi, sociali e culturali che ha determinato un impoverimento delle pratiche sociali, culturali ed economiche. Napoli corre il rischio di coltivare una prospettiva senza un progetto. Nel frattempo affiorano nuovi bisogni che non trovano uno sbocco, nuove domande che non possono essere soddisfatte.
Eppure non dovrebbe essere difficile comprendere che potremmo con facilità riutilizzare ciò che abbiamo in abbondanza. Servono nuove destinazioni culturali e creative per far diventare questi spazi dei luoghi animati, di lavoro creativo e sociale, di accoglienza e di innovazione. È possibile però mettere in moto il cambiamento senza margini di flessibilità? Senza il superamento di vecchi vincoli? Io penso francamente di no. Mi riferisco alle cosiddette «attrezzature esistenti reperite - destinate», le cui proprietà per la maggior parte sono rimaste ad oggi inerti, alle strutture pubbliche o di uso pubblico in disuso (dai palazzi anche monumentali ai capannoni dei depositi Anm), all’ampliamento a nuove destinazioni delle aree già individuate dal piano regolatore, agli immobili confiscati e quelli acquisiti e da acquisire. Per quanto riguarda la riclassificazione dei servizi, nell’ultimo ventennio si sono succedute norme di settore nazionali e regionali sulle scuole, sulla sanità, sullo sport, sui parcheggi che hanno stabilito livelli e requisiti, a volte quantitativi a volte qualitativi, senza che a tutto ciò corrispondesse una sistematica norma urbanistica complessiva. Molte attrezzature ci sono ma non sono idonee e probabilmente occorre adeguarle anche se non sostituirle, accettandone, ove possibile, la semplice omologazione qualitativa e prestazionale. Si dovrebbe perciò affrontare la questione di una distribuzione dello standard dei servizi a livello locale e territoriale, ma articolandone i fattori nel rispetto delle norme settoriali e della evoluzione della domanda sociale. In questo modo, si potrebbero offrire nuove risposte di comunità proprio sui temi sui quali la politica e i governi incontrano le maggiori difficoltà. Penso ai Quartieri spagnoli, a Forcella, alla Sanità ma anche alle nostre periferie. Penso ai nostri ragazzi, ai giovani di questi quartieri. Penso alla necessità di ritornare ad offrire risposte partecipate di welfare che non sappiamo più offrire, opportunità di lavoro vero che non sappiamo più costruire, penso alla contraddizione di avere le università al centro storico e lo studentato a via Brin.
Penso alla straordinaria invasione di turisti che non sono messi in condizione di usufruire di servizi efficienti, e che consumano la città ma non producono ancora ricchezza che possa essere distribuita ai napoletani che la abitano. In questo senso la rigenerazione di spazi abbandonati e privi di destinazione può diventare il più potente strumento di rigenerazione sociale e di fertilizzazione di interi territori. Uno strumento efficace di inclusione, che consentirebbe ai talenti di esprimersi e trovare una possibilità, ai ragazzi un’opportunità di crescita per uscire dalla condizione di emarginazione.
Infine, il dibattito dovrebbe riguardare l’aggiornamento della disciplina degli standard. Prima di affrontare il tema della nuova pianificazione delle attrezzature pubbliche o di uso pubblico, argomento che trova nella variante del Piano Regolatore l’occasione per un bilancio sull’intero territorio cittadino, è legittimo domandarsi se il quadro legislativo di riferimento, ancora costituito dal Dm 1444/1968, sia attuale.
La proposta Servono nuove destinazioni culturali e creative per far (ri)diventare questi spazi luoghi animati