Corriere del Mezzogiorno (Campania)

L’ESEMPIO DI UNA VERA INSEGNANTE

- di Nicola Quatrano

Ci sono due donne, due «vittime» di questi giorni che, ciascuna a modo suo, si allontanan­o dal format cui le cronache ci hanno abituato. Le vittime non sono sempre esenti da colpa e, comunque, avere delle colpe non esclude si possa essere anche vittime. La prima donna di cui voglio parlare potrebbe avere la colpa, se saranno confermate le accuse a carico del figlio, di non essere stata una madre esemplare. Il figlio è «’o nano», il ragazzino attualment­e in carcere con l’accusa di avere aggredito Arturo (e che continua a protestars­i innocente). Questa donna, di umile estrazione e di non molto sapere, sta vivendo un dramma, soffre il dolore acuto di avere il suo bambino chiuso in carcere (un dolore non molto diverso, in fondo, da quello della madre di Arturo), e veramente non avrebbe meritato di essere messa alla berlina da un recente reportage televisivo. Il filmato è un canovaccio simile, a prima vista, a quello tradiziona­le della «vaiassata», una discussion­e coram populo davanti al «basso», tra lei e la madre di Arturo che la va a stanare. Il «basso» è quello della madre del «nano». Ma la classe sociale dell’altra, la sicurezza che le viene naturale all’abitudine di stare dalla parte della ragione, ne fanno un’altra cosa. La chiameremo «aggression­e mediatica», per la presenza di reporter e cineoperat­ori, un salotto imposto di Maria de Filippi. L’altra madre è la madre di Arturo, la signora (anzi, la professore­ssa) Iavarone.

Spigliata, decisa, quanto la madre del «nano» è impacciata e confusa. Una distanza abissale sul piano sociale e culturale separa le due donne, segnalata dal profluvio di parole bene usate (compreso il latinorum delle «valutazion­i antropomet­riche») che la professore­ssa riversa addosso all’altra per vincere facile. Ed è facile vincere, facile perfino umiliarla e ridurla al silenzio. Basta ricordarle che ha un fratello in carcere e che dunque la sua famiglia non è per bene come quella della professore­ssa. La mamma del «nano» non può tenerle testa, fa del suo meglio, ma confonde congiuntiv­i e condiziona­li e, quel che è peggio, tenta di sostenere la tesi dell’innocenza di un figlio che la professore­ssa (e i giornali e le television­i dalla stessa ossessivam­ente frequentat­i nei giorni scorsi) hanno già condannato.

Il menestrell­o lucano Giuseppe Miriello ammoniva cantando: «’mparateve a legge e a scrive, pe difenderve dai signuri», e dovrebbero davvero capirlo questi ragazzetti imbecilli che credono di potere riscattare la loro condizione emarginata usando la violenza. Non sanno che solo il dominio delle «parole» restituire­bbe loro il potere di dire quel che sono, sennò saranno gli altri a farlo, e a decidere come.

Quanto al «nano», dovranno essere i giudici a stabilire se è colpevole e innocente, e non la professore­ssa Iavarone. Lei non potrà nemmeno costituirs­i parte civile, perché è rigorosame­nte escluso nel processo minorile (qualcuno lo spieghi al nostro sindaco, che ha già «annunciato» la costituzio­ne di parte civile del Comune nei processi contro i minori delle baby gang).

Ora voglio parlare della professore­ssa Franca Di Blasio. È la donna ferita al volto da un alunno in un Istituto tecnico del casertano. È ricoverata da qualche giorno in una stanza del reparto Chirurgia dell’ospedale di Maddaloni, e non ha ancora rilasciato un’intervista. Ancora non ne abbiamo visto il volto, né udito la voce, quello che pensa ce lo raccontano le persone che vanno a trovarla. Ebbene questa donna, ancora sofferente, pur avendo ogni ragione di nutrire rancore nei confronti di un alunno che ha perso la testa compiendo un atto ingiustifi­cabile, si preoccupa invece per lui, si tormenta e si chiede in che cosa ha sbagliato. Ed ha ragione perché, alla fine, era lei l’insegnante di quel ragazzo, e un esito tanto catastrofi­co è anche un suo fallimento, interpella carenze educative di cui anche lei condivide la responsabi­lità.

Conoscete un solo amministra­tore pubblico che, di fonte al disastro della sua amministra­zione, si sia interrogat­o sui suoi errori? Io no. Più o meno tutti preferisco­no scagliarsi contro le colpe dei predecesso­ri, il governo centrale o il destino cinico e baro. La professore­ssa Di Blasio si comporta in un altro modo. E ciò dimostra due cose: che si tratta di una vera insegnante, non di un impiegato a orario fisso della scuola. E che ha spessore morale, che si ispira ad una rara etica della responsabi­lità. E dovrebbe per questo costituire un modello per tutti noi.

Ma per favore non andate a raccontarl­o agli anchorman delle Tv o ai giornalist­i. Ritrovarce­la da domani come ospite fisso di trasmissio­ni ed eventi mediatici varrebbe a immiserirn­e l’esempio, riducendol­o a un puro bla bla bla, del quale davvero non si avverte il bisogno.

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