Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Smettiamo di pensare al mercato di (non)riparazione
Finalmente è finito questo dannato mercato di riparazione, un altro mezzo calvario per il tifoso azzurro, fatto di frenetiche digitazioni e ricerche di notizie che non arrivavano mai e che infatti alla fine non sono arrivate. Riparazione, appunto; e siccome non c’era niente da riparare, come dice il presidente, nulla si è riparato. Va bene, ci può stare e comunque il tifoso può solo restare testimone muto e registrare l’incremento delle proprie transaminasi, convinto com’è che invece da riparare c’era eccome, in vista del vertiginoso attacco alla vittoria finale che si prospetta all’orizzonte. E qualcuno della stessa opinione in società doveva pur esserci, se si è tentato fino alla fine di acquisire un attaccante esterno anche a prezzi obiettivamente fuori dalla grazia di Dio.
Ma nulla è avvenuto. Eppure questo mercato di non riparazione è stato il più strano degli ultimi anni, pur condividendone sostanzialmente l’esito. Tra nonni in fin di vita, fidanzate ricche e riottose, direttori sportivi che dirigevano altri direttori sportivi si è verificato quello che mai ci si attendeva, l’azzerato appeal di una squadra che è prima in classifica e che allo stato, con sedici punti di distacco dalla quinta, ha la ragionevole certezza di partecipare alla prossima Champions; ma che viene rifiutata sdegnosamente da gente che non è che giochi nel Real Madrid, nonostante milionarie offerte. A fronte delle mancate entrate, fatta eccezione per il giovane Machach (uno Zinedine franco algerino che col suo augusto predecessore per ora condivide solo l’attitudine alla testata all’interlocutore), si compiono due uscite. Una definitiva, quel Giaccherini coscienzioso, simpatico, gentile ma inadeguato evidentemente al gioco di Sarri, e una temporanea, Maksimovic, investimento immenso ed esito minimo. Certo, erano due che mai avevano giocato con continuità: ma forse avrebbero avuto spazio nelle prossime ingombranti e fastidiose partite di Europa League, quando i titolari andranno (o andrebbero) preservati per concentrarsi sul campionato, e sul testa a testa con quelli là che hanno ben altra rosa a disposizione. Sugli undici però, pensa il tifoso, siamo più forti noi. Decisamente più coesi, più convinti e brillanti. Ecco perché gli undici andranno tenuti come l’argenteria, lucidi e pronti all’uso, evitando ogni forma di eccessiva usura. Di fatto e per fortuna, come si diceva, il pessimo calciomercato azzurro si è concluso. E si può guardare di nuovo alla parte migliore, quella che viene meglio a Sarri e ai suoi, e cioè il prato verde: nella fattispecie quello della vicina Benevento, per una partita che non dovrebbe riservare il massimo della difficoltà tenendo conto dei cinquanta punti cinquanta che separano le due squadre in graduatoria. E invece proprio per questo siamo sullo scivoloso. Sono match che tendono a diventare pericolosi, perché per il pubblico di casa non si tratta di una partita come le altre, perché tra i due presidenti ci sono state in passato scintille e piccole polemiche, perché gli stregoni non hanno più nulla da perdere e possono giocare per la dignità. E tuttavia non è il Napoli in condizione di permettersi balbettamenti: deve confrontarsi con qualcuno che, come l’ultimo mese dimostra, non intende escludere colpi al limite della correttezza pur di affermare di nuovo il proprio strapotere. Massima concentrazione, dunque. E’ questo, checché se ne dica, a rendere questo campionato unico negli ultimi anni: non tanto e non solo l’essere lì a contendere il primato a chi di primato si nutre, ma l’epica implicita in una vittoria che sarebbe qualcosa di gigantesco, di unico e di favoloso. Nulla, in questa prospettiva, andrà lasciato da parte. La ripresa di Milik e Ghoulam, ancora più necessari adesso che la rosa si è ulteriormente ristretta, la compattezza di un ambiente a volte troppo incline alla polemica interna, la saldezza del governo tecnico e della freschezza atletica degli uomini di campo. Tutti insieme, appassionatamente.