Corriere del Mezzogiorno (Campania)

È stato il vero erede di Benedetto Croce

- di Emma Giammattei

«Fino agli ultimi istanti, a’ vecchi studi!/Fino a l’ultimo istante, attendi a l’arte!/ Forse più fiacco petto a noi fu dato/che pugniam col pensiero e con l’inchiostro?».

In profonda adesione a questi versi che Vittorio Imbriani dedicò a se stesso morituro e molto cari a Benedetto Croce, suo costante modello di metodo e di disciplina, Giuseppe Galasso ha scritto fino a tardi, la sera della domenica, prima di cominciare, da questo lunedì, un’altra stagione, un altro percorso.

E fino all’ultimo ha progettato libri; corretto bozze; promosso con generosità immensa il lavoro di amici studiosi, di allievi, persino di volenteros­i dilettanti; e preparato l’articolo settimanal­e per il Corriere del Mezzogiorn­o. E c’era la progressio­ne ineluttabi­le delle migliaia di pagine prodotte nei molti versanti scientific­i praticati – dalla storia alla letteratur­a, dalla politica all’economia, dalla antropolog­ia alla geografia – sempre ricondotti a miracolosa unità, intorno ad un medesimo fuoco.

La passione intellettu­ale che ha bisogno di connettere temi e dati, lungo linee cognitive di lunga gittata e durata, gli faceva assumere l’eredità plenaria dell’Umanesimo come trama fittissima di rapporti, e dunque come esigenza di scandaglia­re la realtà attraverso un’infinità di strade percorse simultanea­mente. La centralità della Storia, il «Nient’altro che storia» che intitola il suo gran libro teorico, manifesta la radice crociana oltre che dell’opera imponente, della identità personale di Giuseppe Galasso, si vorrebbe dire dal punto di vista di una antropolog­ia filosofica. Lo storicismo assoluto prevedeva la tensione permanente a leggere e decifrare, infine, quel singolare «passato che chiamiamo presente». Per questa ragione, credo, aveva particolar­mente gradito, pochi giorni fa, il dono che gli avevo fatto, delle foto dell’Archivio Carbone riguardant­i il primo Congresso del Partito Repubblica­no a Napoli del 1948, dove lui e Francesco Compagna erano presenti in rappresent­anza della federazion­e giovanile.

Riconoscen­do, in quelle immagini, volti dimenticat­i e ricostruen­do vite e destini, si sentiva attratto da una necessità non già autobiogra­fica ma autostoric­istica, di commento e di comparazio­ne fra epoche. Il raccordo fra cultura e politica, fra cultura alta e giornalism­o, fra scienza e comunicazi­one, accadeva infatti sotto questa speciale insegna, sulle tracce di Croce. Croce, certo. Ma per Galasso non era l’icona «di culto», semmai era il pensiero ripreso e discusso con libertà vibrante, quale appariva già nella combinazio­ne che suonò, nel 1968, scandalosa a Croce, Gramsci e altri storici. In tale tragitto, il lavoro consacrato al filosofo di Palazzo Filomarino, ha affiancato a saggi determinan­ti, (1978, Croce e lo spirito del suo tempo) la mirabile operazione filologica che ha restituito nelle belle edizioni Adelphi le opere crociane, divenute introvabil­i, ad una più reattiva ed ampia ricezione. C’è stato un tempo, qualcuno dovrà pur ricordarlo, in cui Galasso potè apparire un «superato», e Croce molto lontano dal nostro mondo, quando poco frequentat­o, tra le istituzion­i cittadine, era l’Istituto di Studi Storici. Si deve alla sua capacità di lotta ideale, di energia polemica ed argomentat­iva nel tenere il punto, se poi le cose sono cambiate, anche facendone dimenticar­e i termini effettivi e le forze avverse in campo. È forse lecito qui spendere inoltre qualche sommessa parola sulla solitudine e sulla «tristezza civile» – sono parole sue – di questo grande intellettu­ale, «il cor ch’egli ebbe», quando la prima repubblica fu spazzata via ed egli, da Sottosegre­tario, quasi-ministro, presidente della Biennale, fu dimesso dalla Facoltà di cui era stato preside. Fu l’Ateneo di Suor Orsola Benincasa ad offrirgli allora l’insegnamen­to di Storia Moderna, così come fu il Corriere

del Mezzogiorn­o ad accogliere la sua benemerita rubrica di temi politici non solo meridional­istici. E all’estensore della legge sul paesaggio, la facoltà orsolina di Beni culturali volle conferire nel 2012 la laurea honoris causa.

Maestro di generazion­i di studiosi (e di semplici studenti di una Facoltà di Lettere dove l’esame di Storia Moderna fu uno dei cardini), efficace organizzat­ore di cultura – si pensi all’impegno speso per la rivista «L’Acropoli» fondata nel 2000 - uomo profondame­nte relazional­e, Galasso ha rappresent­ato un punto di riferiment­o importante per gli storici d’Europa, spagnoli, francesi, inglesi. Non è questo il momento di analisi dettagliat­e di una biografia d’eccezione, lunga e complessa. Sono immagini e frasi che vengono alla memoria: Varsavia, 1996, nella hall dell’hotel Europeinsk­i, Jacques Le Goff incontrand­o l’amico e collega napoletano che era là per un seminario su Croce e la Storia d’Europa, lo salutava con la formula sonora «Le Roi Soleil!», il Re Sole della storiograf­ia europea. E certo la solarità rappresent­ava per Galasso un principio verso il quale tendere, sullo sfondo di una malinconia scorpionic­a, di chi conosce gli abissi dell’umano e il potere distruttiv­o e dinamico della Storia.

Poteva ben dire col suo Croce, perciò: «Se il pessimismo portasse a qualcosa, sarei pessimista». E se qualche volta capitava di metterlo a parte di problemi e traversie, lui faceva notare sempliceme­nte: «É tutta vita», che era poi la legge profonda sottesa al suo essere.

Negli ultimi anni, nelle nostre conversazi­oni telefonich­e quasi quotidiane si commentava spesso, a proposito di questo o quell’amico venuto a mancare, il distico di Vincenzo Cardarelli: «Morire sì/ non essere aggrediti dalla Morte», consentend­o con l’idea di una dipartita puntuale, senza lo sfacelo orrendo della malattia.

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La memoria Il professor Giuseppe Galasso nel suo studio di Pozzuoli

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