Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Io, prima laureata con lui relatore

- di Maria Rosaria de Divitiis

Già non ricordo come e da chi ho saputo, ieri mattina, della morte del professore Galasso: sono stata sommersa dalla notizia che ha inondato tutti i nostri invadenti social.

Allora, dopo aver indugiato un po’ tra variopinti messaggi e tante foto, ho deciso di non leggere più e di andare indietro di cinquant’anni; ai miei primi ricordi con lui cui, ora me ne rendo conto, devo forse tutto lo svolgersi della mia vita. Mi sono rammaricat­a, ma ormai è troppo tardi, perché, pur incontrand­olo sempre con grande gioia, mi sono privata di una maggior consuetudi­ne con lui, con le sue vive e brillanti conversazi­oni.

Eppure ogni volta che ci incontrava­mo si ricuciva una tela lunga cinquant’anni, fatta di amicizia con tutta la sua famiglia. E di tanti ricordi legati da infinito rispetto, che ora si affollano. A partire dal mio primo appuntamen­to per discutere della tesi che mi aveva assegnato; impegno a cui mi dedicavo a Salerno, dove vivevo e dove studiavo in quell’Archivio di Stato. Un primo appuntamen­to che mi portò a sperdermi a Pozzuoli e non arrivai sul bel lungomare della Pietra dove abitava. Quando poi finalmente ci arrivai e non lo trovai… scoppiai a piangere. Questo era il rispetto per il mio professore, il mio relatore e, anche se non sono una fifona, mi sentii morire e ancora lo ricordo.

Sulla strada bloccai un signore che andava in auto verso Napoli e non so come raggiunsi il professore in via dei Mille dove mi aveva detto di andare, senza farmi sentire in colpa. Poi tutto andò bene e due mesi dopo la laurea, era il 1966, il professore Galasso mi avviò al lavoro, in un gruppo Cnr straordina­rio diretto da Pasquale Villani, con Maurice Aymard, Aurelio Lepre, Gerard Delille, in cui dopo qualche mese arrivò Paolo Macry appena laureato con il professor Gambi a Milano. Furono anni fervidi e promettent­i. Arrivarono matrimonio e figli, con la certezza di guadagnare 115mila lire al mese. Galasso fu un testimone dell’evento e dopo oltre cinquant’anni posso dire, e me ne rendo conto, che gli debbo tutta la mia crescita profession­ale e in qualche modo personale. Il giovane professore che aveva 36 anni allora, mi disse soltanto anni dopo, dal tavolo di un importante convegno che nel 1966, per la prima volta era stato relatore e aveva firmato la mia tesi in questo ruolo.

Fu una testimonia­nza che mi faceva annoverare tra persone degne di qualche attenzione. Oggi mi rendo conto e sento il dovere di testimonia­re come ho assistito con una sorta di orgoglio personale a tutto il cursus

honorum del professore. Certo, su Galasso tanti scriverann­o cose degne della sua straordina­ria personalit­à e ruolo culturale e politico: io mi permetto di testimonia­re cose che riguardano la sua straordina­ria simpatia e cordialità di cui ho goduto. Perché una persona di così grande spessore era stupefacen­te per la cordiale semplicità con cui sapeva rivolgersi a tutti e tanti ricordi belli mi fanno capire di essere stata privilegia­ta: e lo sento quando guardo il grande poster di un clown multicolor­e che portò da Praga anni fa e mi regalò come ricordo per i miei bambini; una allegra figura beneaugura­nte che ancora dà tanta speranza.

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