Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Ecco come portai il prof al Corriere
Si divertì moltissimo, ricordo, quando, non molti mesi fa, alla presentazione della sua «Storia della storiografia italiana», gli fecero notare quale vertigine avesse provocato con quel libro.
In almeno due occasioni, infatti, e cioè quando parlava della prima generazione di modernisti italiani e poi nel capitolo dedicato alla storiografia liberale, Galasso scrittore aveva parlato di Galasso storico. Ma come avrebbe potuto evitare quel particolarissimo selfie? Galasso spiegava la Storia e la alimentava, e questo lo sapevo bene sin dagli anni Settanta, quando da cronista lo resocontavo in Consiglio comunale. Ed era uno dei pochi, questo lo dicono i suoi colleghi, che la Storia la conosceva tutta: dal mito alla cronaca; da prima che diventasse tale al momento in cui, davanti ai nostri occhi, si rivelava.
Era il Croce della mia generazione, per dirla tutta. E fu per questo che averlo avuto come collaboratore del Corriere del Mezzogiorno fu, come si dice spesso a sproposito, un onore e un piacere. E, aggiungo, un’emozione rinnovata a ogni chiacchierata, ad ogni telefonata. Naturalmente, di quella prestigiosissima collaborazione non ho alcun merito, perché a renderla possibile furono Ferruccio de Bortoli e Paolo Mieli. Ma fu poi motivo di orgoglio sapere che il professore, come gli capitò di scrivere, fu attratto «dal tono battagliero e impegnativo di quel Corriere meridionale».
Il professore, io lo chiamavo così , appunto, cominciò a scrivere sul Corriere del Mezzogiorno all’indomani della riforma costituzionale del 2001, quando dalla Carta fu cancellato l’unico riferimento esplicito al Mezzogiorno. A quel tempo, la questione «calda» era quella settentrionale. E il Sud, già allora, era sparito dalle agende. «Ben più: era invalsa — diceva Galasso — perfino l’idea che di un divario fra le due parti del paese Italia non fosse più tanto da parlare». Nacque così Il tempo
e le idee, la rubrica che ci ha fatto compagnia fino a domenica scorsa. Fu lo stesso Galasso a immaginarla tenacemente ancorata alla questione meridionale. Da parte mia, confesso, provai a dissuaderlo. Ma ricordo la risposta: «Direttore, questa non è una questione. È semmai la questione».
I fatti gli hanno dato ragione. La sua rubrica ha fornito negli anni una costante lettura critica della storia contemporanea meridionale e nazionale. Ne ha rimosso gli «ingombri» modaioli. E ha generosamente valorizzato un enorme patrimonio di competenze che costituisce di per sé l’altra faccia della «questione», quella di una realtà tutt’altro che irrimediabilmente compromessa. Pagina dopo pagina, Galasso ci ha spiegato che il problema del Sud non è nelle risposte che non arrivano, ma nelle politiche che si determinano: perché se sulle cause del divario — anche interne allo stesso Mezzogiorno — e sui rimedi possibili ormai sappiamo tutto, è invece sul «fare» che casca l’asino. Quando non del tutto inadeguate, diceva il prof, queste politiche difettano di efficacia: a volte per il lungo tempo di attuazione, altre per la scarsa qualità della gestione, spesso per entrambe le cose. Ora dovremo fare senza di lui. E sebbene ci restano i suoi scritti e i suoi insegnamenti, sappiamo bene — e non si può che scriverlo con le lacrime agli occhi — che la Storia raccontata dalla sua voce calda e avvolgente era tutta un’altra cosa.