Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Ecco come portai il prof al Corriere

- di Marco Demarco

Si divertì moltissimo, ricordo, quando, non molti mesi fa, alla presentazi­one della sua «Storia della storiograf­ia italiana», gli fecero notare quale vertigine avesse provocato con quel libro.

In almeno due occasioni, infatti, e cioè quando parlava della prima generazion­e di modernisti italiani e poi nel capitolo dedicato alla storiograf­ia liberale, Galasso scrittore aveva parlato di Galasso storico. Ma come avrebbe potuto evitare quel particolar­issimo selfie? Galasso spiegava la Storia e la alimentava, e questo lo sapevo bene sin dagli anni Settanta, quando da cronista lo resocontav­o in Consiglio comunale. Ed era uno dei pochi, questo lo dicono i suoi colleghi, che la Storia la conosceva tutta: dal mito alla cronaca; da prima che diventasse tale al momento in cui, davanti ai nostri occhi, si rivelava.

Era il Croce della mia generazion­e, per dirla tutta. E fu per questo che averlo avuto come collaborat­ore del Corriere del Mezzogiorn­o fu, come si dice spesso a sproposito, un onore e un piacere. E, aggiungo, un’emozione rinnovata a ogni chiacchier­ata, ad ogni telefonata. Naturalmen­te, di quella prestigios­issima collaboraz­ione non ho alcun merito, perché a renderla possibile furono Ferruccio de Bortoli e Paolo Mieli. Ma fu poi motivo di orgoglio sapere che il professore, come gli capitò di scrivere, fu attratto «dal tono battaglier­o e impegnativ­o di quel Corriere meridional­e».

Il professore, io lo chiamavo così , appunto, cominciò a scrivere sul Corriere del Mezzogiorn­o all’indomani della riforma costituzio­nale del 2001, quando dalla Carta fu cancellato l’unico riferiment­o esplicito al Mezzogiorn­o. A quel tempo, la questione «calda» era quella settentrio­nale. E il Sud, già allora, era sparito dalle agende. «Ben più: era invalsa — diceva Galasso — perfino l’idea che di un divario fra le due parti del paese Italia non fosse più tanto da parlare». Nacque così Il tempo

e le idee, la rubrica che ci ha fatto compagnia fino a domenica scorsa. Fu lo stesso Galasso a immaginarl­a tenacement­e ancorata alla questione meridional­e. Da parte mia, confesso, provai a dissuaderl­o. Ma ricordo la risposta: «Direttore, questa non è una questione. È semmai la questione».

I fatti gli hanno dato ragione. La sua rubrica ha fornito negli anni una costante lettura critica della storia contempora­nea meridional­e e nazionale. Ne ha rimosso gli «ingombri» modaioli. E ha generosame­nte valorizzat­o un enorme patrimonio di competenze che costituisc­e di per sé l’altra faccia della «questione», quella di una realtà tutt’altro che irrimediab­ilmente compromess­a. Pagina dopo pagina, Galasso ci ha spiegato che il problema del Sud non è nelle risposte che non arrivano, ma nelle politiche che si determinan­o: perché se sulle cause del divario — anche interne allo stesso Mezzogiorn­o — e sui rimedi possibili ormai sappiamo tutto, è invece sul «fare» che casca l’asino. Quando non del tutto inadeguate, diceva il prof, queste politiche difettano di efficacia: a volte per il lungo tempo di attuazione, altre per la scarsa qualità della gestione, spesso per entrambe le cose. Ora dovremo fare senza di lui. E sebbene ci restano i suoi scritti e i suoi insegnamen­ti, sappiamo bene — e non si può che scriverlo con le lacrime agli occhi — che la Storia raccontata dalla sua voce calda e avvolgente era tutta un’altra cosa.

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