Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Una bella mazzata al Golia romanocentrico
Allargata l’area di influenza ben oltre i confini della produzione locale. Oggi la città è un brand globale, un set che è un valore aggiunto
Quaterna secca sulla ruota dei David. Sette, otto, undici, quindici: tante sono infatti le nomination conquistate rispettivamente da
Gatta Cenerentola, La tenerezza, Napoli velata e
Ammore e malavita. Che, sommate alle candidature di Valeria Golino, Smetto quando
voglio la saga e Gramigna fanno 44 possibilità di vittoria futura, ma già così costituiscono uno straordinario riconoscimento alla qualità e alla vitalità del cinema made in Naples. E al potere attrattivo e fascinatorio dell’immaginario partenopeo, in grado di allargare la sua area di influenza ben oltre i confini della produzione locale per farsi oggi brand globale, set capace di offrire di per sé valore aggiunto a qualsiasi copione. Perché, se dal «totale» del trionfo partenopeo stringiamo sui «dettagli» di questo exploit, notiamo che solo Gatta – cartone animato che reinventa in chiave metropolitana-futuribile la fiaba di Basile e il capolavoro teatrale di De Simone – vanta le caratteristiche di un prodotto interamente indigeno, frutto quasi miracoloso di una piccola ma agguerritissima factory cittadina capace di sfidare i giganti Usa dell’animazione (e il fatto che questo sia il primo cartoon nella storia del David di Donatello a concorrere nella categoria più importante, cioè quella del miglior film, basta a dire il valore della nomination). Gli altri titoli sono certamente napoletani nell’ambientazione e nel – variamente declinato – mood, però non sono quasi mai nati produttivamente in città: ma dove se non a Napoli il lucano Gianni Amelio avrebbe potuto girare il suo struggente La tenerezza (tratto fra l’altro da un libro di successo di Lorenzo Marone, talento napoletano doc)? Dove i Manetti Bros – dopo Song ‘e Napule, partenopei ad honorem – avrebbero potuto scatenare il gusto del grottesco e della citazione che ha fatto la fortuna di Ammore e malavita? E dove Ferzan Ozpetek avrebbe potuto evocare il fantasma della borghesia che attraversa la sua città velata, se non nel luogo dove passato e presente vivono in un simbiotico e incessante, onirico cannibalismo? E, a rendere ancora più esaltante questo groviglio di pulsioni meridiane e di respiri ormai nazionali, ecco l’esuberante fioritura di attori candidati per i loro film «partenopei»: un variegato bouquet dove i grandi commedianti, i talenti drammatici, i volti nuovi ma già convincenti si mescolano. Napoletani di classe purissima (Buccirosso, Barra, Carpentieri) ma anche no, vedi la romanissima Gerini che per amore dei Manetti (e di Napoli) è diventata una impareggiabile donna Imma Savastano cinefila... Napoli pigliatutto, almeno per ora: se e quante delle 44 candidature diventeranno statuette lo sapremo solo la sera del 21 marzo. Ma già adesso una cosa la possiamo dire: il David napoletano ha assestato una bella mazzata al Golia romanocentrico che fino a poche stagioni fa regnava, incontrastato, sul cinema italiano. E sulla sua lingua.