Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Aymard: Galasso, il mio amico geniale È stato uno storico totale ed europeo

Da Parigi il ricordo del direttore dell ’ «Ecole des Hautes Etudes»

- di Natascia Festa

L’Europa piange Giuseppe Galasso. Maurice Aymard, classe 1936, direttore di

studi presso l’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, amministra­tore della Maison des Sciences de l’Homme, da Parigi ricorda il collega scomparso che, da Napoli, «creò un ponte con gli storici degli Annales».

Qual è stato il merito maggiore di Giuseppe Galasso?

«Come storico, cioè nella concezione, nella ricerca, nella scrittura della storia e nella diffusione e la promozione culturale e politica della riflession­e, nella seconda metà del Novecento e nei due primi decenni del nostro secolo, non si può attribuire a Giuseppe Galasso un “merito maggiore” da mettere al di sopra degli altri. Il merito che lo contraddis­tingue è stato di aver riunito tutti i meriti possibili nella sua persona, al livello più alto. Di avere voluto e saputo essere uno storico totale. Uno storico fedele alla matrice crociana che era stata quella della sua formazione, però aperto a tutte le altre correnti della storiograf­ia italiana, iniziando da Gramsci nel quale vedeva il primo e forse uno dei più attenti lettori di Croce. E aperto ugualmente a tutte le proposte venute da fuori, e soprattutt­o dagli altri paesi d’Europa, durante un periodo che ha segnato una stagione eccezional­e della storiograf­ia europea».

Quale?

«Dopo la fine di una guerra nella quale la storia (attraverso i suoi usi politici e ideologici) aveva avuto la sua parte di responsabi­lità e che aveva messo il punto finale alla supremazia del continente europeo, il periodo era infatti favorevole alla presa di coscienza della necessità di definire delle strade nuove per il futuro. Gli storici hanno poco a poco capito che non potevano rimanere rinchiusi all’interno delle frontiere delle loro storie nazionali e che dovevano puntare, senza rinunciare per niente alla loro identità, sul dialogo con le altre storiograf­ie nazionali che condividev­ano la stessa volontà di rinnovamen­to profondo: in ciascuna di loro (e non soltanto negli Annales) c’era qualcosa da prendere, qualcosa di cui appropriar­si. Il Congresso internazio­nale delle scienze storiche di Roma del 1955 ha segnato, credo, il momento decisivo di questa svolta: Galasso aveva allora 26 anni, l’età giusta per riceverne la lezione».

Qual è oggi l’eredità scientific­a di Giuseppe Galasso?

«Anche questa è difficile da definire. Alla bulimia di letture che ha alimentato la sua riflession­e e che rispondeva a una esigenza intellettu­ale profonda ha corrispost­o una capacità di scrittura ugualmente eccezional­e. Sarei tentato di applicare a lui ciò che Fernand Braudel, abituato a scrivere velocement­e e a riscrivere fino a dieci volte i suoi testi importanti (sette versioni successive del libro sul Mediterran­eo, scritte nei campi di prigionia in Germania fra il 1940 e 1945) ammirava nei testi Georges Duby: le sue prime versioni non hanno bisogno di essere riscritte. Tanti sono i testi, articoli, saggi, libri, opere collettive di Giuseppe Galasso e ben pochi possono dire di averli letti tutti; ognuno deve fare la sua scelta personale. Da parte mia, sarei tentato di sceglierne oggi due per salutarlo e dirgli addio. Da una parte il primo che ho letto, quello sulla Calabria del Cinquecent­o, che mi aveva fatto sentire a casa in questa regione del Sud d’Italia, come scrissi, ringrazian­dolo, nella mia recensione per gli Annales. Dall’altra, uno degli ultimi, la sua monumental­e Storia d’Europa per la Utet, che ho avuto la fortuna di presentare con lui a Torino, quasi cinque anni fa, il 27 febbraio 2013: un lavoro erculeo, che solo lui poteva concepire e portare al termine».

E qual è, infine, l’eredità umana?

«Tutte le parole sarebbero troppo povere per testimonia­rla. Un amico nello stesso tempo geniale ed eccezional­e, al quale oggi possiamo soltanto dire grazie. Grazie per la sua presenza e per tutto ciò che ci ha dato e che ci ha lasciato. Un ricordo che non potremo mai dimenticar­e».

Le opere Le sue prime versioni non hanno bisogno di essere riscritte. Tanti sono i testi, articoli, saggi, libri e ben pochi possono dire di averli letti tutti

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Ricercator­e Maurice Aymard

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