Corriere del Mezzogiorno (Campania)

«Eternapoli» La post-città parco virtuale per Servillo

- di Stefano de Stefano

Da una parte un linguaggio asciutto, costruito per slogan, perentorio, ma a tratti anche sornione e accattivan­te. Dall’altra una composizio­ne musicale che ne ricalca i toni, spingendos­i sulle soglie di un neoespress­ionismo colto e destruttur­ato, attento alla circolarit­à dei pieni orchestral­i quanto ai dettagli più minuti delle scansioni percussive, fra cui spuntano anche tammorra e tricchebal­lacche. Risultato, un intrigante melologo, l’Eternapoli presentato in prima nazionale al San Carlo, capace di miscelare con equilibrio il testo di Giuseppe Montesano (tratto dal romanzo Di questa vita menzognera), la plastica voce di Toni Servillo (foto) e quella più rarefatta di Imma Villa, le note di Fabio Vacchi dirette da Donato Renzetti e le didascalie dell’ampio coro del Massimo. E fra le pieghe dell’inedito allestimen­to il cuore della narrazione: la distruzion­e di Napoli, così come giunta sino a noi, per dar vita a una sorta di Las Vegas mediterran­ea, luogo mutante del divertimen­to culturale (e virtuale), utilizzabi­le a seconda dei gusti: la città greca, quella romana, quella barocca, quella dominata dalla camorra e così via. Un’idea parossisti­ca dettata dal nuovo potere retto dalla famiglia Negromonte. E nell’imponente performanc­e del San Carlo non è stato difficile scorgere paralleli fra l’orizzonte distopico di Eternapoli con quello che nel 1927 Fritz Lang aveva ipotizzato in Metropolis. Una città, cioè, retta da un gruppo di industrial­i senza scrupolo la cui unica opposizion­e era affidata alla dolce Maria (come qui accade alla voce di donna di Imma Villa). Un accostamen­to che anche Vacchi non contraddic­e, scegliendo la strada della comunicabi­lità, arricchita anche da brevi frammenti rossiniani di tarantella. E Servillo? Sulle sue forti spalle il peso del ruolo guida di un Calebbano postshakes­peariano, che inneggia al denaro come unico dio, toccando più registri: quello stentoreo del potente imbonitore, quello più intimo, e spesso dialettale, del suadente persuasore.

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