Corriere del Mezzogiorno (Campania)
PETER BROOK «RITORNO AL MAHABHARATA»
Il regista inglese, dopo più di trent’anni, porta in scena da stasera al Bellini una versione del suo epocale spettacolo tratto dal poema induista in sanscrito «Non è un’operazione nostalgica ma una pièce sui conflitti contemporanei»
Quando nel 1985 Peter Brook, in una cava vicino Avignone, portò in scena il
Mahabharata — nove ore di spettacolo tratte dallo sterminato poema induista in sanscrito — la storia del teatro si arricchì di una soglia epocale: ci fu un prima e un dopo Mahabharata.
Ora, a distanza di più di un trentennio, il grande regista inglese, a novantadue anni, firma una nuova versione di quello spettacolo che debutta stasera al Bellini (alle 21) con la traduzione e l’adattamento in italiano del napoletano Luca Delgado. In scena Karen Aldridge, Edwin Lee Gibson, Jared McNeill e Larry Yando.
«Non è una ripresa e neanche un’operazione nostalgica — spiega Brook — ma al contrario, un progetto che nasce dalla volontà di creare, nello spirito dell’oggi, una piéce molto essenziale e molto intensa, che tratta di qualcosa che ci riguarda. Il poema descrive la guerra che dilania una famiglia. Alla fine, i Pandava vincono, ma nel poema si parla di “dieci milioni di cadaveri” un numero incredibile per quei tempi. È una descrizione terribile, che potrebbe essere Hiroshima o la Siria di oggi. Quando si leggono le notizie di attualità si rimane arrabbiati, disgustati, sconvolti. Ma in teatro si può vivere tutto ciò e rimanere fiduciosi e coraggiosi e continuare a credere che si possa affrontare la vita».
Il grande poema in centomila strofe racconta la tragese dia e la guerra che dilania la grande famiglia Bharata: cinque fratelli Pandava contro i loro cugini Kaurava, i figli del cieco re Dritarashtra.
In questa nuova versione, in soli settanta minuti, cambia anche il titol0. Si passa da
Mahabharata a Battlefield che, racconta Luca Delgado, «indica anche l’assunzione di un preciso punto di vista».
«Battlefield è il luogo dell’azione: un grande campo di battaglia dove si è appena consumata la fase finale di una guerra sanguinosa che è costata la vita a dieci milioni di persone. Il senso è tutto in una battuta di Yudishtira, il futuro re al quale Krishna rivela che è lui l’unico a poter salvare il mondo. Prima però dovrà affrontare un’altra guerra. “Questa guerra — chiede il giovane — avverrà su un campo di battaglia o nel mio cuore? Krishna gli risponde: non vedo alcuna differenza».
Come ha lavorato all’adattamento? «Mi sono concentrato soprattutto su una ricerca linguistica che trasformasin maniera credibile per un orecchio contemporaneo un poema in sanscrito di tremila anni fa». La pièce, che è una grande coproduzione internazionale, oltre che dal
Mahabharata, è tratta dal testo teatrale di Jean-Claude Carrière, adattamento e regia sono di Brook e Marie-Hélène Estienne. Le musiche sono di Toshi Tsuchitori, i costumi di Oria Puppo, le luci di Philippe Vialatte. Fino a domenica 25 febbraio.