Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Paolo Calabresi: io, Iena in scena contro l’arroganza

L’attore, molto attivo sia in tv che in teatro, da stasera al Nuovo con «Qui ed ora» «Parliamo di quella gente sbruffona che ha sempre la pretesa di avere ragione, che indossa caschi come fossero elmetti o guida supersuv con cui sentirsi più forte»

- Stefano de Stefano

«P

ortiamo in scena l’arroganza verbale dei nostri tempi e il tentativo di sopraffare l’altro, che, anche a terra ferito, resta sempre il nostro peggior nemico». Paolo Calabresi, attore molto attivo sia in teatro che in tv, dove ha anche partecipat­o alle Iene, introduce così lo spettacolo «Qui ed ora», in scena al Nuovo fino a domenica, scritto da Mattia Torre e interpreta­to al fianco di Valerio Aprea.

Di quale violenza si tratta e in che contesto?

«Siamo nella campagna romana e ci troviamo di fronte a un incidente fra due scooterist­i. Uno resta a terra, e da allora piuttosto che pensare al suo soccorso (l’ambulanza non arriverà mai anche perché è il 2 giugno e il centro è bloccato) parte invece una vera e propria battaglia fra i due a colpi di parole, molto cattive, con le quali l’uno cerca di sopraffare l’altro. Giungendo anche a ribaltare i ruoli fra vittima e carnefice. Un modo di farsi male, che non è più fisico, ma ripreso dall’uso distorto che oggi si fa dei social, in cui passano sempre più malvagità di ogni tipo. Ne deriva un’ironia cruda, al passo con il cinismo dei nostri tempi».

Personaggi facilmente identifica­bili o possibili ovunque?

«Quella che presentiam­o è una tipologia molto romana, di gente sbruffona che sulla strada ha sempre la pretesa di avere ragione. Anzi che fa della strada il proprio campo di battaglia, indossando caso, schi che ricordano gli elmetti o guidando un supersuv con cui sentirsi più forte degli altri. E il discorso non è relegabile alle periferie. Qui Aurelio, che interpreto io, è uno chef “motivazion­ale”, che viene dal cuore della città e che accusa l’altro di essere un “campagnolo”. Per quel che

per esempio, a Napoli è un modo di essere non così radicato, in genere qui c’è meno rispetto per il codice ma un po’ di tolleranza reciproca in più».

Napoli, città in cui ha lavorato anche al tempo delle Iene. Che ricordi ha?

«Soprattutt­o due. Il primo è uno scherzo fatto a De Laurentiis nel giorno di un Napoli-Roma del 2009. Per l’occasione mi travestii da cardinale sudamerica­no desideroso di vedere la partita al San Paolo. Fui ricevuto in pompa magna all’Hotel Vesuvio, il presidente mi offrì il caffè e fui portato sotto scorta allo stadio. Visitai gli spogliatoi e uscii anche in campo prima del match. Ma qualcuno mi riconobbe e fui allontanat­o senza spiegazion­i all’esterno e costretto a vedere la partita in tv in un bar. L’altro episodio, ancora curiale, si riferisce invece a un’inchiesta del 2015 sul lavoro nero all’interno della diocesi di Napoli».

Ma fra Iene, teatro, cinema e tv, qual è il vero Calabresi?

«Un po’ tutti, perché dopo un inizio serio, come attore dei grandi stabili, mi sono lanciato in tante esperienze, anche per necessità di lavoro (ho quattro figli…) scoprendo però come potesse essere utile la mia formazione anche in contesti diversi. Certo quello delle Iene un po’ più rischioso (una volta mi minacciaro­no con un coltello) ma sicurament­e molto adrenalini­co».

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«On the road» «Qui ed ora», Paolo Calabresi in scena con Valerio Aprea

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