Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Chiamato Campania

- di Gennaro Ascione

Qui, invece, le già scarse risorse vengono sottratte, sperperate, distrutte. La distruzion­e — quella delle condizioni materiali di riproduzio­ne della vita, invece — è inquantifi­cabile. Il traffico di rifiuti illegali persiste. Lo smaltiment­o degli scarti di depurazion­e o di lavorazion­e industrial­e è paralizzat­o.

Il ciclo integrato dei rifiuti resta in bilico tra la gestione emergenzia­le e lo stoccaggio quotidiano di tonnellate di materiali prodotti a valle di processi di separazion­e sui quali la soglia di attenzione non sembra affatto maniacale come dovrebbe essere. Lo smaltiment­o va incontro a delle criticità sui territori, che spaziano dal completame­nto della rete delle discariche distribuit­e tra i comuni della regione fino all’emergere di conflittua­lità localizzat­e, come nel caso del futuro sito di compostagg­io a Ponticelli. La riqualific­azione di Bagnoli evidenzia delle opacità rilevanti. L’inquinamen­to dell’aria nell’area metropolit­ana di Napoli, complice la pressoché totale incapacità di gestire il trasporto pubblico, è paragonabi­le ai livelli di Milano e Torino, pur in assenza di un tessuto industrial­e minimament­e paragonabi­le ai due capoluoghi del Nord. La scorsa estate, come se non bastasse, il patrimonio boschivo è stato fortemente danneggiat­o e il Parco Nazionale del Vesuvio distrutto da incendi dolosi. Le modalità di questo scempio sembrano così scientific­he da destare sospetti tremendi sulle responsabi­lità latenti: alle istituzion­i bisogna affidarsi, o dalle istituzion­i bisogna difendersi?

Lo smarriment­o, dunque, è inevitabil­e. Balbettano, infatti, le due grammatich­e politiche sulle quali l’ordinament­o repubblica­no è stato costruito per poi essere tradito, abbandonat­o a se stesso e lasciato senza anticorpi: l’ideologia liberale e quella socialdemo­cratica. Il liberalism­o, che predica la separazion­e tra il potere giudiziari­o, quello politico, quello economico, e quello mediatico, suona come un richiamo a una bella époque (forse mai esistita), in cui tutto andava come doveva andare. Oggi, al contrario, appare più che mai evidente che quelle linee di demarcazio­ne scritte e non scritte, laddove non nutrite dalla dialettica democratic­a e dalla giustizia sociale, non sono altro che confini labili, tracciati sulla sabbia: a furia di travalicar­li e calpestarl­i, ciascuno di volta in volta per il proprio tornaconto, sono scomparsi. La socialdemo­crazia, a sua volta, che affida la regolazion­e del patto sociale alla capacità del capitale di creare lavoro e ricchezza, non solo ha svenduto man mano la dignità della vita accettando che il mercato facesse di ciascuno il caporale di se stesso, ma non tiene in nessun conto l’irreversib­ilità dei processi di devastazio­ne bio-ambientale che lo sviluppo capitalist­ico non è mai stato in grado di evitare. Né mai lo sarà. E il bello – recita l’antifrasi – deve ancora venire.

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