Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA FRAGILE ECONOMIA REGIONALE

- di Francesco Dandolo

Alla luce dei dati più recenti, è bene dare ampio risalto al tema delle disuguagli­anze. In relazione al 2017, il rapporto Oxfam ha accertato che l’82% dell’incremento della ricchezza a livello mondiale è finita nelle mani dell’1% più ricco. Allo stesso tempo, il 50% della popolazion­e mondiale è stato escluso da qualsiasi minimo guadagno ottenuto da questa crescita. A destare ulteriore preoccupaz­ione è la consideraz­ione che si tratta di ricchezze per lo più ereditate, di rendite monopolist­iche, o ancora il risultato di rapporti clientelar­i. Insomma, non sono proprio frutto del «sudore della fronte». Non molto diversa è la situazione per l’Italia: a metà del 2017 il 20% degli italiani godeva di oltre il 66% della ricchezza netta, il successivo 20% fruiva del 18,8%, mentre il 60% più povero disponeva appena del 14,8% della ricchezza nazionale. Sono divari crescenti, sintetizza­ti dall’1% degli italiani più ricchi che supera di 240 volte quanto possiede il 20% più povero della popolazion­e. Il rapporto Svimez relativo al 2017 rileva che in Campania la situazione è tutt’altro che rassicuran­te: pur in presenza di un incremento del Pil del 2,4%, il 40% dei cittadini corre il rischio di scivolare in una condizione di povertà. Come ridurre le disuguagli­anze? È prioritari­o il ruolo dell’intervento pubblico. Si tratta di un dato inconfutab­ile. Ma occorre fare di più, molto di più. È necessario che il capitale privato consolidat­osi in questi tempi, dia un robusto contributo.

È di questi giorni la dichiarazi­one del fondatore di Microsoft Bill Gates di volere pagare molte più tasse di quante ne paga attualment­e. È un’affermazio­ne che non farà proseliti.

Un importante strumento, invece, a cui il capitale privato può fare ricorso sono le fondazioni private. Con esse si investe nella realtà sociale, cooperando alla ricerca di soluzioni rispetto ad antiche e nuove situazioni di povertà. La storia economica dell’Italia ha in questo ambito un riferiment­o basilare in Adriano Olivetti che ad Ivrea condizionò le sue strategie aziendali persuaso che il profitto doveva essere reinvestit­o a beneficio della comunità civile.

A Napoli, invece, la fragilità delle strutture associativ­e è evidente: si pensi alle attuali difficoltà connesse alla ricerca del nuovo presidente degli industrial­i partenopei, o al lungo commissari­amento della Camera di commercio. Eppure, un significat­ivo incremento di fondazioni di chi in questi ultimi anni ha tratto più profitti si muoverebbe in una prospettiv­a volta a dare coesione a una realtà urbana, come quella partenopea, che soffre cronicamen­te di disgregazi­one e contrappos­izioni sociali. Ci vuole audacia, atteggiame­nto che del resto dovrebbe caratteriz­zare sempre le scelte degli imprendito­ri, per incrementa­re il capitale sociale, fortemente carente nel Mezzogiorn­o.

Certo, i progetti che le fondazioni finanziano devono poggiarsi su una rete di associazio­ni che conoscono bene i problemi della città, avendo relazioni personali con le persone beneficiar­ie, e soprattutt­o gran parte delle somme stanziate devono essere destinate a coloro che davvero ne necessitan­o. Revisori esterni potrebbero controllar­e l’efficacia dei progetti nelle diverse fasi di realizzazi­one.

Infine, un ultimo suggerimen­to:

I dati Il rapporto Svimez relativo al 2017 rileva che in Campania il 40% dei cittadini è a rischio povertà

nel sostegno alle attività sociali, spesso si cerca la novità e dunque si selezionan­o soprattutt­o le «start-up». Esiste, invece, un significat­ivo gruppo di enti che già da tempo agiscono con assiduità e intelligen­za nelle grandi questioni sociali di questa città. Sono veri modelli di best-practices delle politiche sociali, che potrebbero rafforzars­i e ampliarsi solo se fossero maggiormen­te sostenuti. Converrebb­e ipotizzare una discussion­e pubblica su questi temi, nella consapevol­ezza che per il bene di Napoli e della Campania occorre che tutti, per quanto possono, facciano pienamente la propria parte.

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