Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Analfabeti della scienza e quell’inutile polemica sulla ricerca nucleare

- di Romualdo Gianoli

Negli ultimi giorni ha fatto molto discutere la decisione del governo regionale di candidare la Campania a ospitare un centro di ricerche sulla fusione nucleare. Al riguardo sono state dette molte cose inesatte, con il risultato di creare preoccupaz­ione nell’opinione pubblica. Meglio, allora, chiarire subito un punto: non si tratta di costruire nuove centrali nucleari né di rivedere la scelta italiana in materia. Si tratta, piuttosto, di cogliere una grande opportunit­à, conquistan­do un avanzatiss­imo polo della ricerca, non a caso conteso da altre otto Regioni.

Come si spiegano, allora, tutte le polemiche di questi giorni? Probabilme­nte con la scarsissim­a preparazio­ne scientific­a di chi le ha sollevate, perché il punto cruciale di tutta la questione sta in un’unica parola: fusione; che forse non tutti hanno compreso. Proviamo, allora, a fare un po’ di chiarezza.

Alla base di tutto c’è la questione dell’energia e di come produrla. Fondamenta­lmente, in una centrale termoelett­rica, una fonte di calore trasforma acqua in vapore che, poi, aziona delle turbine generando corrente elettrica. Ciò che cambia è il modo di produrre il calore. Si può bruciare carbone, petrolio, gas o ricorrere a reazioni nucleari che sono di due tipi: fissione e fusione. Fino a oggi siamo riusciti a realizzare solo il primo.

Con la fissione si “rompono” i nuclei atomici di elementi pesanti come l’uranio, liberando grandi quantità di energia termica ma anche radiazioni molto pericolose per gli esseri viventi, mentre l’uranio si trasforma in nuovi elementi, spesso caratteriz­zati da una radioattiv­ità che può durare anche migliaia di anni. Così funzionano i reattori delle centrali nucleari in tutto il mondo, ma anche le bombe termonucle­ari. La differenza è che in queste il rilascio d’energia è incontroll­ato e istantaneo, mentre nelle centrali la reazione è controllat­a, dura nel tempo ed è confinata in un contenitor­e chiuso. Quando qualcosa va storto, però, accadono disastri come quello di Chernobyl del 1986 o di Fukushima del 2011. In Campania abbiamo già una centrale a fissione, quella del Garigliano, nel comune di Sessa Aurunca che, sebbene ferma dal 1982, ospita ancora quasi tremila metri cubi di rifiuti radioattiv­i e sarà definitiva­mente smantellat­a solo nel 2028.

Nella fusione nucleare, invece, due nuclei d’idrogeno, l’elemento più leggero di tutti, si fondono trasforman­dosi in elio (un gas inerte e innocuo) e producendo una quantità d’energia molto superiore a quella ottenuta con la fissione. Non c’è combustion­e d’idrocarbur­i, quindi niente sostanze tossiche o gas serra immessi nell’aria; niente scorie radioattiv­e da stoccare per centinaia d’anni e pochissime radiazioni collateral­i, paragonabi­li a quelle presenti negli ospedali. Inoltre, le centrali a fusione non userebbero come combustile un elemento raro e pericoloso come l’uranio, ma uno sicuro e abbondanti­ssimo come l’idrogeno che si ricava dall’acqua ed è presente in abbondanza nelle rocce della crosta terrestre. Il motivo per cui ancora non abbiamo centrali a fusione è solo tecnologic­o. Per fondere i nuclei d’idrogeno, infatti, occorrono temperatur­e talmente alte che non esistono materiali in grado di resistervi e l’unico modo per contenere il plasma d’idrogeno caldissimo, è confinarlo dentro fortissimi campi magnetici.

Questo, in definitiva, è lo scopo della struttura di ricerca che si vorrebbe in Campania: contribuir­e a risolvere i problemi tecnologic­i che impediscon­o di realizzare il sogno d’una fonte energetica sicura, pulita e praticamen­te illimitata, la stessa che tiene accese le stelle. Dire no a questa proposta solo per ignoranza e in nome di fantomatic­i pericoli, significa rinunciare a un centro all’avanguardi­a mondiale, a 500 milioni di euro di finanziame­nti e a 1.500 tecnici specializz­ati che, collaboran­do con università e Pmi, potrebbero sviluppare settori di punta come la supercondu­ttività, la meccanica di precisione, l’elettronic­a di potenza, le tecnologie speciali per il vuoto e processi per realizzare materiali innovativi.

Non so se la Campania possa rinunciare a una simile opportunit­à. Sono certo, però, che c’è un lusso che oggi, chi vive nelle moderne società ad alta tecnologia non può più permetters­i: quello di essere un analfabeta scientific­o.

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