Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Un padre nel racconto di due figli

- di Marco Demarco @mdemarco55 © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Originario di Forio d’Ischia, ultimo di dieci figli, primo del suo corso all’Accademia militare di Modena, pittore, scultore, poeta dannunzian­o, estimatore di Longanesi, monarchico, nazionalis­ta. Enrico Belli era un galantuomo. Uno di quelli che, in una Sicilia da Gattopardo, respinto dal padre della futura moglie solo perché semplice appuntato dei Carabinier­i, per orgoglio e per amore torna dopo qualche anno impettito nella sua divisa da ufficiale.

I figli Attilio e Vincenzo gli hanno dedicato un libro a oltre cinquanta anni dalla morte. E il risultato è Blu Ischia, edito da Guida. Un racconto molto speciale, non fosse altro che per essere stato scritto a quattro mani, intreccian­do la memoria dell’uno e dell’altro autore e alimentand­o così quella comune. Perché un libro del genere? Freud, certo. Qualche senso di colpa da cui liberarsi a distanza di tempo, chissà. Ma essenzialm­ente per una ragione che ha a che fare con il potere evocativo della memoria. «“Vivrò ancora/ quando finalmente/ deciderai/ di venirmi a trovare”». È il verso conclusivo della poesia che Marlene Dietrich lascia alla figlia poco prima di morire. Ricordami e io tornerò a vivere. Ed è appunto quel che succede leggendo Blu Ischia: i figli ricordano, e il padre torna a vivere. Lo rivediamo bambino a Ischia, poi in giro per l’Italia al tempo dell’armistizio, di Salò, del referendum istituzion­ale, della Repubblica, e infine a Napoli. Ma questa è solo la ragione privata che ha ispirato il libro. Conoscendo Attilio, il più giovane e il più noto dei due fratelli, urbanista e scrittore, intuiamo che ce n’è un’altra. Una ragione che ha che fare non solo con la memoria ma anche con la storia. Ad Attilio Belli è sempre piaciuta quella “dal basso”, delle persone, perché quella ricostruit­a sulla base delle ideologie, della lotta di classe, o del conflitto di genere resta inevitabil­mente troppo astratta. Non che tutto questo non ci sia in Blu Ischia. C’è infatti l’ideologia: il padre conservato­re e il figlio Attilio che vota a sinistra. C’è la lotta di classe: il suocero che respinge il giovane Andrea e la moglie «borghesott­a di provincia orgogliosa delle proprie stimate sociali». E c’è il conflitto di genere: la sorella degli autori, bravissima in latino, ma costretta ad abbandonar­e gli studi per ragioni di bilancio familiare.

Ma a tutto questo si aggiungono i tantissimi particolar­i di un diario a lungo coltivato. Ed è qui che entra in scena l’altro Belli, l’ingegnere navale Vincenzo, il vero depositari­o della storia familiare. I ricordi diventano così storia minuta, dettagliat­a e allo stesso tempo nazionale. Un giorno , per dire, arrivarono due soldati tedeschi in sidecar. I bambini della famiglia Belli erano in cortile. E a loro i militari chiesero se stavano con Mussolini o con il re. Sembra un film: leggi e immagini la polvere, gli stivali, l’accento straniero. E invece è esattament­e come allora, nell’Italia ancora in guerra, andavano le cose. Se i bambini avessero risposto «con il re» sarebbe stata la fine della famiglia. Ma risposero con l’ingenuità propria della loro età, e si salvarono. «Noi stiamo con mamma e papà», dissero.

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La copertina del romanzo firmato dai due fratelli Attilio e Vincenzo Belli

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