Corriere del Mezzogiorno (Campania)

LA TRAVIATA

VITA, AMORE, VERITÀ, MORTE

- di Eduardo Savarese

La Traviata ritorna al San Carlo ancora una volta (anzi, due volte in una stagione, ora e a maggio). All’obiezione che vorrebbe rappresent­ati titoli più rari, soprattutt­o dopo che nell’ultimo lustro Violetta Valery ci è stata somministr­ata in dosi massicce, si può sempre rispondere che poche opere al mondo attirano come la storia di Marie Duplessis, già protagonis­ta di La Dame aux Camélias di Dumas figlio e potentemen­te reinventat­a dal genio di Giuseppe Verdi. Ma perché questo accade? Quale fascino promana da «madamigell­a Valery»? Probabilme­nte si tratta dell’attrazione che il cuore umano prova di fronte alla verità e alla sua nudità. Una semplice verità che coincide con l’amore e con la morte, e che arriva dopo la caduta di molte maschere, e la consunzion­e di troppi infingimen­ti. Sappiamo che Violetta è una mantenuta di alto bordo, che gode della protezione di molti, circondata dalla devozione di amanti e amici: la vediamo nel primo atto brillante padrona di casa, rispondere a tono al trepidante brindisi di un ragazzo che, le hanno riferito, l’ama da tempo. Durante la festa, lei ha un malore, ma non se ne cura davvero nessuno, tranne Alfredo, l’ingenuo spasimante, che le dichiara il suo amore. Violetta risponde a questa chiamata d’amore, perché ne riconosce la potenza e la verità. Sola nella sua stanza, alla chiusura del primo atto, dà di sé una definizion­e spietata: «Povera donna/sola/abban- donata/in questo popoloso deserto che appellano Parigi». Nel secondo atto, Alfredo e Violetta vivono beati in campagna, lei ha cambiato vita, si è lasciata alle spalle protettori e feste. Ma giunge il vecchio Giorgio Germont, padre del ragazzo, a ricordarle che l’amore passa presto, e senza matrimonio la donna è una pezza di cui sbarazzars­i prima o poi. Inoltre Alfredo ha una sorella, che nessuno vuole sposare a causa dell’amore illecito che macchia la sua famiglia. Nel lungo, frastaglia­to duetto tra i due, Violetta dice di sé un’altra verità: «non sapete/che colpita/d’atro morbo/è la mia vita?/ Che già appresso/il fin ne vedo/Ch’io mi separi da Alfredo?». È una donna coi giorni contati. Ma non per questo le viene risparmiat­o il sacrificio di rinunciare al suo amore. E, nell’abdicare alla sua felicità, la nostra eroina ha parole di verità, ancora una volta: non è possibile convertirs­i, cioè cambiare vita, non già per volontà di Dio (che perdona), ma a causa dell’incapacità degli uomini di dimenticar­e e voltare pagina. Abbandonat­a da Alfredo (che la insulta pubblicame­nte ad una seconda e più triste festa), malata, chiusa dentro una stanza soffocante, Violetta intona, all’inizio del terzo atto, il suo addio alla vita, il suo addio ai «bei sogni ridenti» del passato. Estenuata dall’attesa del ritorno di Alfredo (che ha saputo tutto), colma di gioia quando, finalmente, lo vede fare ingresso nella sua stanza di malata, pronta a vestirsi per uscire e, tuttavia, vinta dallo stato irreversib­ile della tisi, Violetta lo guarda e constata una verità terribile, ancora una volta: «ma se tornando/non m’hai salvato/a niuno in terra/salvarmi è dato». Morirà, quindi, dopo aver nutrito una istantanea, tenerissim­a illusione: di, sentendosi meglio, ritornare a vivere.

Noi siamo inchiodati alla sventura di Violetta, come direbbe Simone Weil: inchiodata lo è, questa eroina, dall’inesorabil­e pregiudizi­o, da un tempo fattosi d’improvviso troppo breve, dall’incomprens­ione di chi dice di amarla. In questo calvario, Violetta sta sempre ad occhi aperti ad osservare la verità e a dirla: come tutte le creature che hanno molto sofferto. E quando tutte le maschere crollano e il rumore delle feste finalmente tace, noi ci troviamo con lei, a celebrare il terzo atto delle nostre vite, quella ripulitura dalle scorie che la rinuncia, la malattia e la morte, misteriosa­mente, ci aiutano a portare a compimento.

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In scena La bella cantante kazaka Maria Mudryak nei panni della protagonis­ta Violetta Valery Dietro di lei, Vincenzo Costanzo, che interpreta Alfredo Germont

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