Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Denunciò il killer, Di Meo battuto dalla burocrazia

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Un altro boccone amaro per Augusto Di Meo ( l’ex fotografo di Casal di Principe testimone oculare dell’assassinio di don Giuseppe Diana, che si è visto ieri respingere dal ministero dell’Interno il riconoscim­ento di «testimone di giustizia». Una battaglia che l’uomo conduce da anni e che si è finora scontrata con la burocrazia nonostante le numerose rassicuraz­ioni ed «endorsemen­t» raccolte lungo il tortuoso iter. La sua domanda è stata rigettata perché ritenuta «tardiva».

La mattina del 19 marzo del 1994, come faceva ogni giorno prima della messa delle 7.30 quando andava a salutare l’amico sacerdote, Di Meo varcò la soglia della sagrestia della parrocchia di San Nicola di Bari pochi istanti dopo che il killer aveva fatto fuoco su don Diana. Di Meo lo riconobbe all’atto della fuga. Non si fece alcuno scrupolo, lo denunciò e con il suo coraggio determinò la condanna di Giuseppe Quadrano, esponente del clan dei Casalesi che voleva chiudere la bocca a quello scomodo prete. Tempo dopo dovette però chiudere il suo studio di fotografo e andare a vivere fuori, a Perugia, per anni. Il clima era diventato pericoloso. Nonostante questo non gli è mai stato riconosciu­to lo status di «testimone di giustizia». Davanti alla sua richiesta datata 2015 lo Stato ha ritenuto di applicare la norma secondo cui l’istanza andava prodotta entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna di Quadrano, avvenuto nel 2004.

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