Corriere del Mezzogiorno (Campania)

I 26 boss di Gomorra spediti in Sardegna

Nella nuova «Alcatraz» di Sassari trasferiti i padrini più potenti: da Contini a Zagaria

- di Fabio Postiglion­e

La decisione arriva via fax ed è firmata dal Dipartimen­to per l’amministra­zione penitenzia­ria. Viene consegnata di sera, prima delle 19, direttamen­te sulla scrivania del direttore del carcere. Al detenuto di turno vengono dette poche parole: «Da domani si cambia, prepara la borsa». Succede spesso a chi deve scontare reati per associazio­ne mafiosa o è recluso nei padiglioni cosiddetti «dell’alta sorveglian­za».

La decisione arriva via fax firmata dal Dipartimen­to per l’amministra­zione penitenzia­ria. La sera, prima delle 19, direttamen­te sulla scrivania del direttore del carcere. Al detenuto di turno vengono dette poche parole: «Da domani si cambia carcere, prepara la borsa che si parte». Succede spesso a chi deve scontare reati per associazio­ne mafiosa o è recluso nei padiglioni cosiddetti «dell’alta sorveglian­za», quelli destinati a chi commette reati con le aggravanti mafiose. La destinazio­ne, fino alla fine, resta top secret, come da protocollo per questo tipo di trasferime­nto. Ed è proprio in quel preciso momento che ai capiclan, anche a quelli più duri e spietati, iniziano a tremare le gambe perché oramai tutti i pezzi da novanta sanno che prima o poi potranno finire lì. Dove? Nella ribattezza­ta «Alcatraz italiana».

All’alba gli agenti di polizia penitenzia­ria bussano alla porta blindata della cella. Il detenuto stende le braccia per farsi ammanettar­e, passa per corridoi stretti illuminati da luci artificial­i, lancia un breve saluto ai «compagni» del piano e va dritto nella camionetta blindata che si dirige a sirene spiegate verso l’aeroporto più vicino. La destinazio­ne è Alghero. È questo il «girone dell’inferno» di tutti i padrini di mafia e ’ndrangheta e, da alcuni mesi, anche di quelli della camorra napoletana. Trasferime­nti di massa fatti in gran segreto per tutti i boss di Napoli e provincia: uno, massimo due per clan di appartenen­za e mai nemici tra loro, per evitare tensioni all’interno della struttura che ospita (si fa per dire) anche terroristi internazio­nali e donne detenute «al carcere duro».

L’Alcatraz italiana

Sono però trasferiti non i ras emergenti, quelli reclusi al carcere duro cosiddetto «ordinario», come a Cuneo, Spoleto o a Secondigli­ano. Non ci sono, per intenderci, i ragazzi della «paranza dei bambini» di Forcella. Non arriverann­o mai i pistoleri delle «stese» al rione Sanità. Nell’istituto penitenzia­rio di Bancali, una frazione a 8 chilometri da Sassari, a 29 dall’aeroporto di Alghero, nella parte nord ovest della Sardegna, ci finiscono solo i super boss, quelli che negli anni non si sono mai piegati neanche per un momento allo Stato e che hanno deciso di scontare in silenzio la loro pena, che quasi sempre è all’ergastolo o a condanne che superano i venti anni. Entrano nel supercarce­re completato solo nel 2015, costruito appositame­nte con 96 celle destinate al regime «super duro» e che è occupato adesso da 26 camorristi, trasferiti dagli altri penitenzia­ri nel giro di pochi mesi, uno dopo l’altro. Senza clamore, guardati a vista, caricati su voli speciali e scortati da venticinqu­e agenti armati. La struttura è intitolata a un agente della polizia penitenzia­ria, Giovanni Bachiddu, ucciso nel 1945 mentre tentava di fermare un’evasione. E non è un nome scelto a caso. Nel nuovo penitenzia­rio nessuno può evadere o anche solo pensare di farlo. Ci sono mura di cemento armato alte 20 metri e la struttura è blindata con triple protezioni. Ma non solo, ci sono regole molto stringenti per far si che non si possano passare ordini all’esterno in nessun modo. Struttura a nido d’ape

Le celle dove sono recluci i napoletani — quelle destinate ai boss più pericolosi — sono al centro della struttura, disposta a nido d’ape, come un alveare, dove ogni corridoio non si incrocia con l’altro ed è lungo solo cinquanta metri. A perpendico­lo e che affacciano su altre tre celle. Una struttura studiata appositame­nte per evitare gli «inchini» al passaggio del boss di turno o scambi di comunicazi­oni e ordini di morte. Ogni capoclan ha la sua ora d’aria e socialità in un piccolo cortile videosorve­gliato con solo altri tre padrini che sono di regioni diverse, senza nessun contatto tra loro. Il mondo dei super boss napoletani inizia e finisce lì. Nelle stanze blindate di 12 metri quadrati, senza finestre, ci sono i riscaldame­nti ma non i climatizza­tori, un letto, un armadio, un gabinetto, un lavabo. Ogni stanza ha un accesso in una saletta dove hanno i colloqui una volta al mese con i loro familiari, dietro un vetro blindato e parlando al citofono. Accanto c’è un televisore per i collegamen­ti in videoconfe­renza con le aule di giustizia dove si celebrano i processi nei quali sono imputati. Nessuno più sarà trasferito. Napoletani «internati»

I cancelli della sezione «incubo» del Bachiddu sono stati inaugurati da Leolu- ca Bagarella, il padrino corleonese, cognato di Totò Riina, responsabi­le di decine di omicidi, ed è stato il primo a protestare duramente contro gli agenti di poliz i a p e ni te nz i a r i a c h e s o r ve g l i a no i l blocco detentivo del supercarce­re. La stessa sorpresa che ha accolto gli altri 89 detenuti, convinti di essere trasferiti come di routine e invece sono finiti dietro i cancelli del carcere. Lì è stato “spedito” il padrino di «Gomorra-La serie» Raffaele Amato, lo spagnolo, che nella fiction era Salvatore Conte. Non c’è invece il suo nemico giurato Paolo Di Lauro, mentre c’è suo cognato Raffaele D’Avanzo. Presente invece Antonio Mennetta, el Niño, boss dei “girati” della Vanella Grassi. Tra gli uomini di calibro è «ospite» Eduardo Contini ’o Romano, al vertice dell’Alleanza di Secondigli­ano. C’è Michele Mazzarella, figlio di Vincenzo, per anni al comando di Forcella. Giovanni Aprea, capoclan di San Giovanni, soprannomi­nato

punta di coltello, per la sua capacità di usare le lame: è nel padiglione nord. Il super boss di Marano Giuseppe Polverino è nel lato est del penitenzia­rio, vicino a Rocco Morabito, capo della ’ndrangheta. La lista è lunga: nel super carcere ci sono Giovanni Birra, lo spietato killer di Ercolano; Francesco Bidognetti, Pasquale Zagaria, fratello di Michele e Vincenzo Schiavone detto Sandokan. Antonio De Luca Bossa, ergastolan­o di Ponticelli con aderenze anche a Pianura è stato trasferito da poco, così come Ciro Minichini, del quartiere di Barra. Ma non è finita qui perché ci sono altri 14 napoletani in lista: otto dei quali ergastolan­i.

La struttura di Bancali Da Bidognetti a Zagaria e Amato, ogni capo clan ha una cella di 12 metri quadrati, senza finestre ma con letto e armadio

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La casa circondari­ale «Giovanni Bachiddu», in località Bancali, frazione del comune di Sassari
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Eduardo Contini
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Antonio Mennetta
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Giuseppe Amato

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