Corriere del Mezzogiorno (Campania)
Il reddito di cittadinanza ha battuto la «flat tax»
Il risultato delle urne fotografa un’Italia praticamente divisa in due. Con un centrodestra, a trazione leghista, predominante al Nord e i pentastellati guidati da Luigi Di Maio padroni (quasi) assoluti nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Una spaccatura che, peraltro, a ben vedere, significa anche due modi diversi di concepire la politica economica e il welfare.
Da una parte, infatti, c’è la coalizione ora condotta da Matteo Salvini che ha puntato tutto, facendone il vero cavallo di battaglia della campagna elettorale, sull’introduzione della flat tax, strumento in grado «rimettere in moto il Paese, perché più denaro in tasca a famiglie e imprese genera più consumi»; dall’altra c’è M5S, che ha promesso un reddito di cittadinanza per oltre 9 milioni di connazionali. In buona parte, stando agli indicatori sulla povertà e sulla disoccupazione (soprattutto giovanile), residenti proprio nelle regioni meridionali.
Ma cosa prevedono, nello specifico, le proposte in questione? Partiamo da quella del centrodestra, che è peraltro diversificata all’interno della medesima coalizione. Se Forza Italia ha lanciato l’idea di una sola aliquota del 23%, «compatibile con la tenuta dei conti pubblici», la Lega vorrebbe scendere addirittura al 15. In linea generale, comunque, il calo della pressione fiscale sarebbe introdotto «man mano che le condizioni dell’economia lo consentiranno». L’iniziativa, su cui si è speso a più riprese personalmente Silvio Berlusconi, non prevede, passando ai meno abbienti, «il pagamento di tasse sui primi 12.000 euro di reddito: chi guadagna poco, in pratica, non verserebbe nulla, mentre i redditi medi pagherebbero solo su una quota limitata dei loro introiti». Inoltre la flat tax, sempre secondo i suoi estimatori, «semplificherebbe il sistema, tagliando la selva di detrazioni, deduzioni e adempimenti». Come dire: un’idea programmatica che inciderebbe su diverse fasce sociali, dalle più basse alla media borghesia, per finire ai più ricchi e alle aziende. Con la possibilità dichiarata che «maggiori disponibilità economiche per le famiglie, ossia consumi in crescita, potranno generare la necessità di più produzione e nuove assunzioni. Insomma, (anche) più entrate nelle casse dello Stato».
Di contro la proposta di Di Maio & Co. andrebbe a intervenire principalmente su chi un reddito non ce l’ha per niente. L’obiettivo è allineare tutti (quantomeno) sopra la soglia di povertà. Come? «Una famiglia di quattro persone, per esempio, in particolari condizioni disagiate, può arrivare a percepire anche 1950 euro al mese. Naturalmente esenti da tasse e da pignoramenti». Un nucleo di tre, con genitori disoccupati e figlio maggiorenne a carico potrà invece contare su 1.560 euro. Nel caso di «due pensionati con assegno minimo da 400 euro ciascuno», ancora, l’aiuto «sarà pari ad altri 370 euro per la coppia, come integrazione». Se invece siamo di fronte a un lavoratore part-time, «il salario sarà adeguato fino ad arrivare a 780 euro». Che equivale, appunto, alla fatidica soglia di povertà. «Se potrai percepire il reddito — annunciano i pentastellati — per conservarlo ti verrà richiesto di adempiere ad alcune regole: dall’iscrizione ai centri per l’impiego (e bisognerà accettare una delle prime tre occupazioni che saranno eventualmente offerte) alla disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (8 ore settimanali)».
Posto che sarebbero previsti sgravi pure per le imprese disposte ad assumere chi percepisce l’indennità, dove si trovano le coperture? I 16 miliardi annui necessari «non verrebbero da sanità, scuola o nuove tasse: abbiamo — spiega M5S — preferito cercare risorse da gioco d’azzardo, banche, compagnie petrolifere, etc.».
Flat tax o reddito di cittadinanza? Il voto ci dice che al Sud ha vinto la proposta grillina. Ora, però, tutto dipende da chi andrà al governo.