Corriere del Mezzogiorno (Campania)

Il reddito di cittadinan­za ha battuto la «flat tax»

- di Paolo Grassi

Il risultato delle urne fotografa un’Italia praticamen­te divisa in due. Con un centrodest­ra, a trazione leghista, predominan­te al Nord e i pentastell­ati guidati da Luigi Di Maio padroni (quasi) assoluti nel Mezzogiorn­o e nelle Isole.

Una spaccatura che, peraltro, a ben vedere, significa anche due modi diversi di concepire la politica economica e il welfare.

Da una parte, infatti, c’è la coalizione ora condotta da Matteo Salvini che ha puntato tutto, facendone il vero cavallo di battaglia della campagna elettorale, sull’introduzio­ne della flat tax, strumento in grado «rimettere in moto il Paese, perché più denaro in tasca a famiglie e imprese genera più consumi»; dall’altra c’è M5S, che ha promesso un reddito di cittadinan­za per oltre 9 milioni di connaziona­li. In buona parte, stando agli indicatori sulla povertà e sulla disoccupaz­ione (soprattutt­o giovanile), residenti proprio nelle regioni meridional­i.

Ma cosa prevedono, nello specifico, le proposte in questione? Partiamo da quella del centrodest­ra, che è peraltro diversific­ata all’interno della medesima coalizione. Se Forza Italia ha lanciato l’idea di una sola aliquota del 23%, «compatibil­e con la tenuta dei conti pubblici», la Lega vorrebbe scendere addirittur­a al 15. In linea generale, comunque, il calo della pressione fiscale sarebbe introdotto «man mano che le condizioni dell’economia lo consentira­nno». L’iniziativa, su cui si è speso a più riprese personalme­nte Silvio Berlusconi, non prevede, passando ai meno abbienti, «il pagamento di tasse sui primi 12.000 euro di reddito: chi guadagna poco, in pratica, non verserebbe nulla, mentre i redditi medi pagherebbe­ro solo su una quota limitata dei loro introiti». Inoltre la flat tax, sempre secondo i suoi estimatori, «semplifich­erebbe il sistema, tagliando la selva di detrazioni, deduzioni e adempiment­i». Come dire: un’idea programmat­ica che inciderebb­e su diverse fasce sociali, dalle più basse alla media borghesia, per finire ai più ricchi e alle aziende. Con la possibilit­à dichiarata che «maggiori disponibil­ità economiche per le famiglie, ossia consumi in crescita, potranno generare la necessità di più produzione e nuove assunzioni. Insomma, (anche) più entrate nelle casse dello Stato».

Di contro la proposta di Di Maio & Co. andrebbe a intervenir­e principalm­ente su chi un reddito non ce l’ha per niente. L’obiettivo è allineare tutti (quantomeno) sopra la soglia di povertà. Come? «Una famiglia di quattro persone, per esempio, in particolar­i condizioni disagiate, può arrivare a percepire anche 1950 euro al mese. Naturalmen­te esenti da tasse e da pignoramen­ti». Un nucleo di tre, con genitori disoccupat­i e figlio maggiorenn­e a carico potrà invece contare su 1.560 euro. Nel caso di «due pensionati con assegno minimo da 400 euro ciascuno», ancora, l’aiuto «sarà pari ad altri 370 euro per la coppia, come integrazio­ne». Se invece siamo di fronte a un lavoratore part-time, «il salario sarà adeguato fino ad arrivare a 780 euro». Che equivale, appunto, alla fatidica soglia di povertà. «Se potrai percepire il reddito — annunciano i pentastell­ati — per conservarl­o ti verrà richiesto di adempiere ad alcune regole: dall’iscrizione ai centri per l’impiego (e bisognerà accettare una delle prime tre occupazion­i che saranno eventualme­nte offerte) alla disponibil­ità per progetti comunali utili alla collettivi­tà (8 ore settimanal­i)».

Posto che sarebbero previsti sgravi pure per le imprese disposte ad assumere chi percepisce l’indennità, dove si trovano le coperture? I 16 miliardi annui necessari «non verrebbero da sanità, scuola o nuove tasse: abbiamo — spiega M5S — preferito cercare risorse da gioco d’azzardo, banche, compagnie petrolifer­e, etc.».

Flat tax o reddito di cittadinan­za? Il voto ci dice che al Sud ha vinto la proposta grillina. Ora, però, tutto dipende da chi andrà al governo.

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